Diavolo... angelo tentatore (Racconto)
Renzo Coletti Aggiornato il 06/08/2020 07:00Affacciato al finestrino, Francesco osservava i contorni della periferia milanese sgretolarsi in una vasta macchia grigia, indifferente, desolata. Con una rabbiosa accelerazione, il treno parve voler fuggire verso luoghi più ospitali. Con invidia il giovane pensò ai suoi coetanei che in quel momento affollavano le spiagge della riviera; egli invece... Chiuse il finestrino in un gesto di stizza e si sedette.
Una ragazza apparve sulla porta dello scompartimento, Francesco la guardò infastidito; desiderava restare solo. Ma la ragazza sembrò non accorgersi di quello sguardo e sorridendo pose la sua prima stupida domanda:
"È questo il rapido per Sestri levante, vero?"
Egli accennò appena di sì con il capo, sperando di apparire maleducato, ma lei sorrise ancora, entrò e si sedette di fronte al giovane. Francesco capì allora che non se ne sarebbe liberato; decise di ignorarla e, per mostrare il suo disappunto, si sdraiò sul sedile e chiuse gli occhi, cercando di immergersi nei propri pensieri. Sentiva ancora l' odore della sua ragazza che aveva stretto tra le braccia pochi minuti prima quando il treno era fermo sotto la tettoia della stazione di Milano. Ritrovò quasi subito il desiderio di lei, desiderio che non riusciva a saziare; anche quella volta aveva cercato quel corpo, come un naufrago cerca terra, nuotando in quel mare di sensazioni da cui non riusciva ad emergere. Sentì muoversi la ragazza e si rese conto improvvisamente di non riuscire ad immaginarla lì seduta di fronte a lui; poi capì di non averla nemmeno osservata quel tanto da sapere se fosse brutta o carina. Istintivamente aprì gli occhi e ciò che vide non lo entusiasmò; aveva l' aspetto tipico delle Donne del sud: capelli scuri, ricci, un viso scarno, occhi neri penetranti, il corpo troppo magro e spigoloso. Sentendosi osservata, la ragazza sorrise ancora e, forse per evitare che egli richiudesse gli occhi, fece la seconda domanda:
"Sa quali fermate fa prima di Genova?"
Francesco pensò che non doveva avere molta fantasia, ma proprio per questo e per quel sorriso simpatico che contrastava con quell'aspetto un po' legnoso, sorrise pure lui, si sollevò a sedere e, con il tono più serio che riuscì a trovare, disse:
"Questo è il treno dei cornuti, va come una scheggia. Non lo sa che i cornuti hanno fretta? Prima fermata Genova Principe."
La ragazza cercò di sorridere per celare lo stupore che quella frase aveva provocato, ma non le riuscì che di sgranare un po' gli occhi e socchiudere la Bocca.
Visto che continuava ad osservarlo in silenzio, ma ora con l' aria di soppesarlo, egli aggiunse:
"Cosa succede? Mi ha visto spuntare le corna?"
Con Voce incerta, finalmente rispose:
"Sì... ma da diavolo."
Francesco sogghignò, aveva gettato lì quella frase per condurre subito l' argomento sul rapporto di coppia ed osservare la reazione. Ora sapeva, da quella evocazione del " male", di essere stato scelto. Francesco non era un tipo appariscente: statura media, magro, spalle larghe e braccia muscolose, i lineamenti regolari con una Bocca piccola ed una fronte spaziosa che gli conferiva un aspetto intelligente e serio. L' espressione dei suoi occhi verdi, però rivelava un Carattere ribelle ed impulsivo. Chi lo conosceva superficialmente, non riusciva ad afferrarne la personalità ancora immatura e celata da una timidezza apparente. Non amava esibirsi, ma il suo senso di Giustizia lo lanciava spesso nella mischia come protagonista.
"Come mai dei cornuti?"
Quando la ragazza pose l'inevitabile domanda, egli era già pentito di quella sparata. Senza entusiasmo spiegò:
"Sa quei film... tutto mare e belle Donne in cerca di avventure con i " machi" rivieraschi. Al sabato sera, sono raggiunte da quei commendatori panciuti dei loro mariti che prendono proprio questo treno."
Ella lo guardò maliziosa e insinuò:
"Scommetto che anche lei è uno di quei giovani, vero?"
Egli cercò di cavarsela:
"Quando non sono così stanco..."
L'arrivo del controllore interruppe lo strano colloquio. Quando l'Uomo uscì dallo scompartimento chiudendo la porta, Francesco si alzò ed abbassò le tende: da quel momento in poi, nessuno li avrebbe più disturbati. Il treno semideserto continuava la sua corsa sotto un sole ancora impietoso nonostante l'ora. Adesso la penombra rendeva l'atmosfera più intima e fresca; la giovane non sembrava turbata anzi... Ma egli aveva deciso di ignorarla e riprendere le sue elucubrazioni, del resto non era proprio il suo tipo. Ma qual era il suo tipo? Con quel pensiero nella mente, si sdraiò nuovamente con un sospiro e le lanciò un'occhiata che voleva essere di scusa. Ella lo imitò con una mossa languida: forse era un po' delusa, ma non ancora domata.
Lo sferragliare del treno sembrava cullare i pensieri dei due giovani che la mano impalpabile del destino aveva voluto in quel luogo ove ciò che accade appare sospeso in un tempo senza Storia: sentimenti acerbi, emozioni forti, riflessioni vane, di un età irrequieta e mistificata.
Rimasero così in silenzio, nessuno dei due avrebbe saputo dire per quanto tempo; ogni tanto, però i loro sguardi si incrociavano in una muta intesa. Ad un tratto, lei staccò la giacca che aveva appeso al gancio sopra il poggiatesta e si coprì il ventre e le coscie, che il vestito azzurro lasciava quasi completamente scoperte. Francesco attribuì al gesto, dato il caldo, un ritardato senso del pudore, forse un po' ipocrita. Ma ciò che vide poi, gli produsse una sensazione che non avrebbe mai più dimenticato. Non seppe mai spiegarsi la ragione di quel raptus crescente: aveva fatto all'amore tutto il pomeriggio... e poi la ragazza non gli piaceva. Non seppe mai neppure se ciò che aveva visto, o meglio intuito, fosse la realtà. La mano della ragazza si era infilata sotto la giacca, la mano si muoveva e lui... si alzò come in trance e si trovò seduto accanto a lei che lo guardava negli occhi, per nulla intimorita, sussurrando:
"Diavolo... diavolo tentatore..."
Francesco l'avrebbe presa a schiaffi per quelle parole assurde, invece le afferrò una mano e si chinò su di lei sfiorandole le labbra in un tenero bacio. Ella lo attrasse a sé e tutto si svolse in un crescendo di sensualità quasi disperata.
Quando si ricomposero, lo fecero in silenzio, come se ogni cosa fosse stata già detta in quell'amplesso frenetico ed intenso. Tutto era come prima, ma com'era prima?
Pochi minuti e sarebbero arrivati a Genova; ella parve ricordarsi d'improvviso di non conoscere neppure il nome del ragazzo che in quel momento la stava osservando con aria incredula.
"Come ti chiami?", chiesero contemporaneamente. Risero e poi le frasi distrattamente si susseguirono come i titoli di coda di un film. Con uno stridio di freni, il treno si fermò. Francesco salutò la ragazza con un breve bacio e scese di corsa come fuggendo da una situazione imbarazzante. Fece alcuni passi verso il sottopassaggio e si girò. Ella, affacciata al finestrino, lo stava osservando sorridendo; si scambiarono un gesto di saluto. Francesco si perse poi tra la folla variopinta che, come un fiume in piena, lo sospinse nell' atrio della stazione.
Si guardò intorno incerto: come concludere quella domenica? Sentiva il bisogno di parlare con qualcuno, esternare le proprie emozioni, ricondurre i propri pensieri in una logica chiara.
Francesco lavorava da circa un anno a Savona, dove viveva in una camera ammobiliata, presso un'anziana signora. Aveva , però i suoi legami affettivi a Genova, dove era cresciuto. Guardò l'ora: le otto e un quarto, forse Piero non era ancora uscito. Decise di provare; si avviò verso il Telefono più vicino, introdusse il gettone e compose il numero.
"Pronto", la Voce di Piero gli giunse un po' svogliata.
"Ciao, sono Francesco. Hai qualche programma per questa sera?"
"No, sono appena tornato da La Spezia, stavo guardando in frigo cosa c'è da sgranocchiare... ma tu dove sei?"
"In stazione, sono appena arrivato da Milano. Pensavo di passare la serata qui; che ne diresti se ci facessimo una pizza?"
Piero rimase un attimo in silenzio poi rispose:
"Scommetto che devi raccontarmi qualcosa di interessante. Aspettami lì fuori, d'accordo?"
"D'accordo", rispose sorridendo e riagganciò. Si avviò verso il tabellone degli orari ferroviari; l'ultimo treno per Savona era un locale che partiva subito dopo la mezzanotte.
"Perfetto", pensò e raggiunse l'uscita. Sotto il porticato esterno della stazione, una lunga fila di persone attendeva l'arrivo dei taxi, come sempre insufficienti e disorganizzati. Si accese una sigaretta e si guardò intorno incuriosito da quella moltitudine di persone così eterogenea, frettolosa e disorientata; per ingannare l'attesa cercò di individuare gli habitué di quel mondo vertiginoso. Pensò che nei documenti d'identità, alla Voce residenza il comune avrebbe dovuto accettare la dizione " stazione di..." L'avrebbe detto a Piero e ne avrebbero riso insieme. Fu così che scorse un gruppo di giovani capelloni seduti per terra; sembravano perfettamente a loro agio con le camicie a fiori e l'immancabile chitarra accanto. Francesco li osservò con più attenzione; in quel fine anni sessanta il fenomeno dei capelloni era appena agli inizi e suscitava spesso critiche e disappunto tra gli anziani e i benpensanti di ogni età. Non era così per i giovani che vedevano in quella ribellione anticonformista, una speranza o più semplicemente una Ricerca d'identità troppo spesso soffocata dal formalismo e dai valori stantii di una classe borghese in declino. In quel momento Francesco ripensò ad un articolo che aveva letto su un Giornale scandalistico:
"Il nulla sostanziale in un fenomeno di massa".
Dopo quella giornata vissuta così di getto, come se l'istinto e la ragione si fossero contesi uno spazio inesplorato della coscienza, la definizione gli appariva vuota , priva di un benché minimo tentativo di analisi. Infatti come era possibile definire " nulla", l'inquietudine, il disagio crescente di quegli anni?
La figura alta e massiccia di Piero apparve proprio accanto al gruppo di giovani ed una ragazza lo fermò per chiedergli qualcosa. Piero estrasse il pacchetto delle sigarette dal taschino della camicia, ne prese un paio, le offrì alla giovane e raggiunse l'amico.
"Ho deciso", sbottò Piero, " divento capellone pure io."
"Carina la bimba... eh?"
"Carina, sì... e poi dovrebbe essere disinibita, nessun tabù, o no?"
"Forse c'è più fumo che arrosto."
"Qualcuno di loro ha già Formato delle comuni; ne hai sentito parlare?"
"Sì, pare che al loro interno non tengano neppure conto della paternità dei figli."
"Già... ti piacerebbe essere figlio della comune?"
"Penso proprio di no, quello è un salto troppo grosso non credi? Ma chi non sente il bisogno di sottrarsi al rigore " morale" di un'Educazione tradizionale? Del resto qualche tentativo, un po' goffo ad onor del vero, di fuga dal conformismo, lo abbiamo fatto anche noi. Ricordi il nostro viaggio sulla costa adriatica con il furgone del complesso? Dormivamo sui sedili o sulla spiaggia, ci lavavamo alle fontanelle o nelle stazioni. Scomodo, ma l'euforia che provavamo nel sentirci liberi, lontani da casa e da ogni controllo, ci ripagava abbondantemente. Forse anche la comune, con le sue contraddizioni, è un'esperienza da non trascurare."
Così parlando, i due amici si dirigevano verso quel dedalo di vicoli di cui è composto il centro storico genovese. Non avevano bisogno di chiedersi dove andare: percorrere quelle viuzze cosi sature di odori e di antichi richiami, costituiva per loro quasi un rito. Probabilmente, all'inizio, l'addentrarsi in quei quartieri malfamati aveva soddisfatto un bisogno di trasgressione giovanile, ma ora ne subivano una sorta di fascino. Giunsero davanti ad una pizzeria e Piero chiese:
"Sei mai stato qui?"
"No, e tu?"
"Neanch'io, vogliamo provare?"
"D'accordo, ho una fame..."
Il cameriere li guidò in una sala piccola e semideserta.
"Speriamo bene", borbottò Francesco, ma era lieto di quella tranquillità. Sedettero ad un tavolo ed ordinarono due pizze e due boccali di birra. Mentre attendevano, Piero si accese una sigaretta e domandò sorridendo:
"Allora... ce li facciamo crescere questi capelli o no? Ti vedo bene a fiorellini gialli."
"Ti ha proprio colpito quella ragazza, eh?... credi che quelle idee sul libero amore appartengano solo ai capelloni? Se avessi conosciuto quella ragazza sul treno..."
Piero ridacchiò:
"Sapevo che avresti avuto qualcosa da raccontarmi. Dai , dimmi tutto."
L'arrivo delle pizze dette a Francesco il tempo di riordinare le idee. Non voleva ridurre quell'esperienza solo in una bravata da raccontare agli amici, ma approfondirne gli aspetti psicologici; sapeva che Piero avrebbe capito.
Cominciò il suo Racconto cercando di non trascurare nulla. Piero lo interrompeva ogni tanto con qualche domanda e alla fine commentò:
"Meno male che non ti piaceva, se no..."
"Credimi, è così. Dal momento in cui è entrata nello scompartimento, una volontà esterna o subconscia si è lentamente impadronita di me. Forse il treno a qualcuno fa l'effetto del palcoscenico: si recita una parte o si assumono atteggiamenti normalmente repressi, non credi?"
"Beh, veramente mi sembra che a te faccia l'effetto di un casino, ma forse c'è del vero in quel che dici. Sul treno per La Spezia c'era un tale che ha raccontato barzellette per tutto il viaggio, eppure sembrava un tipo schivo. Un'altra volta uno inneggiava al fascismo. Figurati, di questi tempi c'è da farsi spaccare la faccia."
"Vedi, ripensandoci, ho realizzato una mia aspirazione: fare all'amore con una Donna senza sapere nulla di lei. Capisci, solo il Linguaggio del corpo. È stato bello: niente frasi inutili e presentazioni, come cominciare dalla fine. Se non avesse tirato di mezzo il diavolo, sarebbe stato perfetto."
Piero sospirò:
"Già, le Donne e i loro alibi... beh un po' di retaggio culturale cattolico ce lo trasciniamo dietro tutti."
Ricomparve il cameriere, i due giovani ordinarono due gelati, poi Piero riprese:
"Hai intenzione di rivederla?"
"Se capita... ma non ho intenzione di cercarla. Questa Storia, apparentemente insignificante, ha messo in luce altri problemi."
"Stai pensando alla tua ragazza?"
"Sì, mi domando perché mi prenda la briga di andare a Milano tutte le domeniche e poi... Il rapporto con Anna si sta trasformando in un bisogno insaziabile di Sesso, ma a quanto pare non basta."
"Stai diventando un vero mandrillo. Quando usciamo da qui, con quelle donnine lì fuori... dovrò tenerti al guinzaglio."
Piero cercava di buttarla sullo scherzo. Conosceva Anna ed in cuor suo non era favorevole a quella relazione, ma non amava intromettersi. Così attese che l'amico tirasse da solo le conclusioni e si tuffò nell'enorme coppa di gelato.
Per qualche minuto si concentrarono in quella degustazione che sembrava appagarli. Poi Francesco riprese:
"È come se con il Sesso cercassi di colmare un vuoto, un'insoddisfazione di fondo. Oggi nei due rapporti così ravvicinati,
non ho potuto evitare il confronto."
"Quella ragazza ti è servita da specchio, è così? Hai visto due Francesco?"
"Esatto, uno legato al sottile fascino borghese che Anna incarna perfettamente, l'altro alla Ricerca di una parte di sé che prepotentemente cerca di emergere."
Piero allontanò la coppa ormai vuota, si accese una sigaretta e con un tono serio, inusuale in lui, disse:
"Ti dirò come la penso. Tu non sei ancora pronto per una relazione fissa, né con Anna né con un'altra . Hai bisogno di una motivazione forte, di una fede. Non sto parlando di religione, ma di un impegno Sociale o politico, sai cosa intendo dire. Forse solo allora troverai ciò che cerchi, anche in una Donna."
La frase scosse Francesco. Era ciò che da tempo inconsciamente rimuginava e che ora appariva così chiaro.
"Sì! Hai ragione. Da quando Lavoro e vivo solo, sento il bisogno di agire, di essere partecipe dei cambiamenti in atto. Anna lo capisce, ma lo vive passivamente o cerca solo di ritagliarsi un suo spazio nel quale io sono compreso, nulla più."
"Mi sta diventando simpatica quella ragazza... a proposito come si chiama?", chiese Piero con un sogghigno.
"Franca. Pensi mi abbia fatto rinsavire?"
"Se ti fa quell'effetto... beh non ti tengo neppure più al guinzaglio quando usciamo."
Risero, rilassandosi dopo quella conversazione divenuta un po' troppo coinvolgente.
"Ti è piaciuta la pizza?", chiese Piero.
"Sì, ci tornerò. Che si fa ora?"
"Facciamo un salto al club di Mario?"
"Bene, un po' di Musica è quello che ci vuole."
Pagarono il conto ed uscirono dal locale.
Circa due ore dopo, Francesco dormiva beatamente in un cigolante scompartimento di un vecchio treno che, con esasperante lentezza, quasi volesse indurre gli assonnati passeggeri ad una estasiata contemplazione del panorama notturno, lo conduceva a Savona. Faceva quel Percorso due o tre volte alla settimana sia per andare dai genitori, sia per trascorrere qualche serata con gli amici. Si era creato così in lui una specie di timer che funzionava come una sveglia: ogni volta lo ridestava pochi minuti prima dell'arrivo. Del resto non correva nessun rischio poiché Savona era il capolinea. Quello, però doveva essere un giorno Speciale: il timer non funzionò. Lo svegliò un tocco lieve sul viso, forse una carezza. Francesco aprì gli occhi, stupito. Di fronte a lui un signore elegante di mezza età stava sorridendo.
"Buongiorno", disse l'Uomo in tono ironico e cordiale, " siamo arrivati. Mi spiace davvero averla svegliata, stava dormendo così bene... sembrava proprio un angioletto."
Francesco lo guardò con il dubbio stampato sul volto. L'Uomo lo fissava con sguardo languido, ripetendo come a se stesso:
"Sì, come un angelo..."
Francesco si svegliò di colpo, scattò in piedi e sbottò:
"Sì, angelo tentatore immagino, eh?"
L'altro non rispose, ma i suoi occhi s'illuminarono di voluttà e stupore mentre il sorriso si trasformava in una smorfia.
Francesco scese dal treno seguito dallo sconosciuto che lo raggiunse e con Voce un po' ansante gli chiese:
"Posso offrirle qualcosa? Abito qui a due passi e..."
Francesco fu quasi intenerito da quell'ansia che l'Uomo non riusciva a celare, ma rispose in tono deciso:
" Lasci perdere amico, buonanotte."
Voltò le spalle e si allontanò con passo deciso verso l'uscita della stazione.