Fenomenologia dell'Unione Italiana Ciechi: assenza di un progetto di futuro
Giuseppe Di Grande Aggiornato il 31/07/2020 09:15Vorrei in questo articolo fare un'analisi dell'Unione Italiana Ciechi, secondo i miei studi di sociologia e antropologia culturale, consapevole che in un breve articolo non possa fare un'approfondita disamina della fenomenologia dell'Unione Italiana Ciechi, per tentare di individuarne una coscienza, avvalendomi di quella visione dall'alto dell'antropologia culturale e di quel confronto Sociale che la sociologia mi imporrebbe di fare. È possibile solo intravedere le implicazioni sociali di quello che ho chiamato sistema Unione, considerandolo e analizzandolo come se fosse un organismo vivente avente una propria coscienza collettiva, e in realtà lo è e ce l'ha, alla pari della società, di altre istituzioni, di altri gruppi sociali. Quale organismo vivente subisce uno shock senza tentare di riequilibrare lo status quo ante, cioè l'equilibrio che aveva in precedenza? È il comportamento che ha e avrebbe qualunque sistema vivente. Tuttavia il sistema Unione vive all'interno di un macrosistema chiamato società, prendendo forzatamente in considerazione solo la struttura Sociale costruita da gruppi di esseri umani, perciò non può prescindere da essa, quindi non può "vivere" a una velocità estranea a quella del corpo Sociale in cui è immersa, pena la sua identificazione come corpo estraneo quindi la sua espulsione.
L'istinto conservatore dell'Unione Italiana Ciechi sembrerebbe strutturale nei suoi organi direttivi e amministrativi, rendendola di fatti impermeabile ai cambiamenti e rivolta al passato. Nascerebbe quindi il contrasto che la indurrebbe a reprimere le voci che al suo interno tenterebbero di rivolgere gli occhi al futuro, ripetendo sempre, senza correggersi, le medesime azioni, anche a suo stesso danno. L'Unione sembra essere in continua Ricerca di conquistare una soddisfazione passata che, data la società diversa in cui viviamo, non può in alcun modo ottenere. Questo comportamento non sarebbe altro che un istinto di inerzia che incatenerebbe l'Associazione alla ripetizione di una situazione precedente. Questo potrebbe spiegare perché i comportamenti associativi, istituzionalizzati nel sistema Unione, sono essenzialmente la conservazione di una condizione associativa-infantile, la cui persistenza nelle fasi dello sviluppo della società divengono anno dopo anno sempre più assurdi, in quanto del tutto inadeguati ai raggiunti mutamenti sociali in cui, volente o nolente, l'Associazione vive. Anche nelle correnti interne apparentemente "rivoluzionarie" e/o di "dissenso" si rileva la fissazione alle medesime fasi infantili dell'associazionismo, fissazione che impedisce l'evolversi dell'Associazione verso la pienezza e consapevolezza della situazione Sociale in cui e con cui l'Unione sarebbe tenuta di pari passo a maturare.
Possiamo dividere i bisogni dell'Associazione in due categorie: bisogni primari e bisogni secondari. La ripetizione dei comportamenti non investe i bisogni primari che l'Associazione dovrebbe soddisfare, rispettando per istinto i principi fondanti del suo Statuto, bensì sono azioni strutturali atte al soddisfacimento di quelli secondari, derivanti dalla repressione dei bisogni primari, nonché al mantenimento di essa stessa. La tendenza a ripetere è proprio il risultato della scissione e dell'antagonismo tra bisogni primari e secondari, risultato che determina nell'Associazione uno stato di paralisi sistemica, consolidandosi in quelli che potremmo chiamare contatti sostitutivi col mondo esterno, contatti sostitutivi che essa mira costantemente a ripetere, pur nella loro inconsistente azione.
La ripetizione delle proprie "attività" è originata sostanzialmente da due fattori: la repressione delle voci libere che vorrebbero introdurre alternative futuribili nel sistema Unione; la premiazione di quelle voci che consentono al sistema di perpetuarsi anomicamente ricalcando il passato. Possiamo dire che l'organismo Unione reprime ogni individuo che potrebbe introiettare cambiamenti, quindi maturità, quindi incertezza e quindi dolore per quelle parti immutabili incapaci di crescere. Questo è un meccanismo indotto, come lo sono tutti quegli ulteriori meccanismi attuativi della repressione interna. Il perpetuarsi della stasi è sentito come equilibrio, come piacere. Mentre un pensiero diverso viene avvertito come disturbo, come pensiero che infligge dolore all'intero sistema, poiché vorrebbe introiettare nel sistema delle azioni alternative internamente del tutto o quasi estranee, quantunque concrete e futuribili siano. Perciò il sistema Unione reagisce, reprimendo quelle voci che vorrebbero minarne la stasi data dalla ripetizione del passato. In questo senso non è raro Leggere nelle parole di alcuni il piacere scaturito dalle azioni del passato, magari di molti decenni prima, continuando a ripetere nei ricordi le azioni di altri tempi, con l'illusione che possano ripetersi oggi o, addirittura, che stiano continuando a ripetersi. Questa tendenza a ripetere assume un significato più intrinsecamente ricollegato alla struttura fondamentale della personalità del sistema Unione. Infatti, essa si configura più esattamente come tendenza a mantenere l'Ambiente confortevole e conosciuto della stasi, evitando il dolore di una realtà ignota, illeggibile, in continuo cambiamento, o a sopportare minimi cambiamenti solo nel caso in cui si presentino quali indispensabili condizioni per ritornare al piacere della quiete, alla continuazione del più confortevole passato.
Ciò non significa che il sistema Unione non aspiri al futuro, che non abbia internamente una tendenza progressiva volta al futuro. L'Unione è solo capace di superare il presente ricorrendo al passato. Tuttavia l'assenza di progettualità dialettica rivolta al futuro impedisce all'Unione di crescere, rimanendo imprigionata in un corporativismo infantile capace soltanto di ripetersi. La sua progettualità futuribile richiederebbe necessariamente il ricorso a una dialettica virtuosa capace di Leggere la realtà odierna e confrontarla con quella passata, per superarli dialetticamente e volgersi al futuro. Possiamo capire che il sistema Unione non può in alcun caso superare il presente, se non dispone simultaneamente di un Progetto di futuro; non è possibile rovesciare lo "status quo" senza prima disporre del Progetto di una concreta alternativa. Senza Progetto l'Unione è obbligata a rimanere nella situazione presente - non può assolutamente abbandonare questa situazione, se non ha chiaro un Progetto alternativo. Ne consegue che fin quando si assume soltanto un arido atteggiamento negativista, volto a reprimere e allontanare le voci più critiche, con cui avrebbe linfa per immaginare e offrire nel concreto una possibile alternativa, l'Unione rimane di fatto sempre più invischiata nello "status quo". Questo diffuso negativismo, infatti, lascia l'Unione inchiodata al passato, perché l'assenza di progettualità alternativa non consente di progredire, di superarlo. E' chiaro che questa progettualità non è un qualcosa di assoluto e di eterno, dovendo essere appunto calata nel concreto divenire dialettico del processo storico, ma la sua assenza tiene ancora legati allo "status quo", poiché per una necessità strutturale del sistema Unione essa è incapace di mutare. Tuttavia questa stasi interna non potrà continuare a perpetuarsi in eterno, poiché l'Unione vive grazie agli interventi provenienti dall'esterno, da una realtà in continua e veloce evoluzione, che potrebbe in futuro espellere l'organismo Unione allorquando esso diventasse un corpo estraneo al sistema società, così come possiamo già leggerne i prodromi e così come già lentamente sta avvenendo nella percezione negativa della disabilità da parte delle istituzioni e della società tutta.
Tutto ciò mi lascerebbe indifferente, se l'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti non vantasse un'esclusività di rappresentanza nei confronti di tutti i ciechi italiani, non solo dei suoi iscritti, grazie a una norma del 1978 che avrebbe conferito all'UICI tale potere esclusivo, oggi comunque antistorico, e per tale presunta e totale rappresentanza non avesse e ricevesse credito dallo Stato Italiano. Resta comunque evidente la forza associativa di UICI, grazie al suo numero di soci (comunque ogni anno in diminuzione), e di conseguenza il suo "potere" di orientare l'Immagine, la percezione e la qualità di vita dei disabili visivi, sempre che prima riuscisse ad avere un Progetto di futuro e riedificasse la propria identità, nei confronti dei propri associati e nei confronti della società. Qualunque cosa vivente, se non cresce e cambia, è destinata a morire.