L'educazione sensoriale e la conoscenza: una imprescindibile consequenzialità
Giustino De Matteis Aggiornato il 30/03/2023 08:00Più volte ho sottolineato che non esiste assolutamente la cosiddetta "compensazione dei sensi", pregiudizio che, ancora oggi, è tra quelli più persistenti, ma che va in ogni caso sfatato, se s'intende edificare seriamente un corretto Progetto educativo sensoriale, che sia sempre commisurato alle reali capacità e alle potenzialità intellettive della persona priva della Vista.
La Scienza tiflologica, tanto per cominciare, ha largamente dimostrato che al non vedente non vengono assolutamente attribuiti poteri soprannaturali o paranormali; il miracolo lo compie, invece, l'esercizio Quotidiano e faticoso, mediante il quale i “sensi residui” o “vicarianti” si sviluppano, si affinano, si educano e si potenziano. È l'esercizio incessante di una vita, quindi, a trasformare le grezze sensorialità iniziali in intelligenti e affidate capacità di Orientamento e di Autonomia personale.
E se la prima responsabilità – e forse anche quella più impegnativa – attiene alla famiglia, quella successiva, quella di contribuire con competenze professionali ad una efficace inclusione degli alunni privi della Vista nella Scuola di tutti, appartiene alla generalità degli operatori scolastici, nessuno escluso. E non si tratta soltanto di Insegnare al bambino – ammesso che ciò accada regolarmente – “a Leggere, a Scrivere e a far di conto”, ma di porlo nelle condizioni migliori perché sviluppi le sue potenzialità senso-motorie ed educhi correttamente sia il suo imprescindibile processo percettivo, sia l'attività socio-affettiva-relazionale. Tale impegno non può essere sottovalutato, poiché esso costituisce il sentimento e la consapevolezza di appartenere ad una realtà che non si riduce soltanto al contatto fisico con gli oggetti, ma anche il normale e costante rapporto con coetanei e persone adulte.
Non si può ignorare o far finta di non sapere che, per un bambino privo della Vista, lo sviluppo sensomotorio-percettivo costituisce l'impegno cardine, il momento mediante il quale egli dovrà superare i limiti e gli effetti negativi della sua minorazione, quegli effetti che, sino agli anni '70 del secolo scorso, venivano ancora definiti dalla psicologia Speciale, in maniera alquanto enfatica: "normalizzazione sensoriale". Per dissipare qualsiasi equivoco, chiarisco immediatamente che, tale processo educativo non intendeva assolutamente ridare la funzionalità visiva – a mo' di miracolistica compensazione – ma più semplicemente far superare gli effetti negativi primari e secondari connessi con la minorazione stessa. Né si dovrà supporre, però, che l'Educazione sensoriale comporti un accrescimento quantitativo sic et simpliciter dei sensi residui, poiché essa costituisce invece una particolare attenzione e sensibilità verso tutte quelle specifiche forme di Linguaggio che sono proprie di ogni organo sensoriale.
Quando la persona priva della Vista è impegnata ad ampliare la sua conoscenza della realtà circostante, mette in funzione tutte le peculiarità che i suoi sensi, a ciò educati, hanno imparato ad utilizzare: il senso del tatto e dell'Udito, per esempio, in piena sincronia riescono a percepire quegli innumerevoli messaggi anemestesici, particolari forme di Linguaggio che spesso sfuggono a chi affida prevalentemente la sua conoscenza al senso della Vista.
Per conseguire un livello così affinato di sensorialità, però, è necessario che la persona minorata della Vista sia avviata sin dai primi anni di vita – dai familiari prima e dagli Educatori successivamente, come già detto precedentemente – a sperimentarsi in tutte le varie prove della vita quotidiana. Tale impegno, anzi, non soltanto è consigliato, ma deve costituire, senza tanti fronzoli o comprensibili paure, l'impegno cardine del processo educativo senso-percettivo-motorio-relazionale.
Rivolgo un particolare e mirato appello ai genitori, considerato che quasi sempre sono lasciati da soli nel gestire “in proprio” i primi tre anni di vita del loro piccolo; è opportuno che sappiano che qualsiasi esperienza loro neghino al loro piccolo, per timore che il bimbo possa inciampare e farsi male, ciò costituirà inevitabilmente e comunque un freno alla sua Autonomia personale. Bisogna esser consapevoli, invece, che se non si interverrà precocemente e con le modalità appropriate, gli effetti collaterali alla minorazione visiva potrebbero addirittura indurre il piccolo ad una passività motoria o ad un regresso motorio. Comportarsi con precauzione sì, ma non con paura e ancor meno in maniera iperprotettiva, poiché si condannerebbe quel bimbo a dipendere per tutta la vita da persone terze. Negare a quel bambino, poiché privo della Vista, esperienze comuni a tutti gli altri bambini, ne conseguirebbe una “inerzia Fisica”, una “pigrizia sensomotoria”, un graduale “verbalismo” ed una inevitabile “ecolalia”, quali prime manifestazioni dei “blindismi” o dei “ciechismi”, comportamenti che si manifestano spesso in quei bimbi che non sono stati educati o sollecitati a muoversi normalmente, almeno nello spazio domestico. Il bimbo, se lasciato a trastullarsi da solo, involontariamente ma inesorabilmente, comincerebbe a costruirsi una sorta di involucro nel quale finirebbe per auto-imprigionarsi. Sarebbe indotto a mettersi in comunicazione passiva con l'Ambiente esterno soltanto attraverso l'Udito o il tatto. Non saremmo più dinanzi ad un bambino normale, sveglio e attivo per l'aspetto motorio e proiettato verso la conoscenza del mondo, ma di fronte ad un bimbo cieco, inteso non soltanto dal punto di Vista fisiologico-sensoriale, ma un bimbo dalle "mani cieche", come affermava opportunamente la neuro-psicoanalista Selma Fraiberg, dopo aver studiato affondo l'importanza della manualità nel processo conoscitivo dei bambini con cecità congenita.
Il bimbo, sia pure in maniera indistinta e imprecisata, avverte ugualmente la presenza di un “qualcosa”, di un “mondo” che gli è attorno, che lo circonda e che lo avvolge. Quel mondo, però, rischia di restare inesplorato e sconosciuto, almeno sino a quando il bimbo “non sarà spronato” a toccare e conoscere molti di quegli oggetti che costituiscono ed animano concretamente lo spazio circostante.
Considerato, però, che il campo della conoscenza – sia che ci si affidi prevalentemente alla visione, sia che si faccia leva sugli altri “sensi residui” – impegna inevitabilmente le facoltà intellettive, sono certo che qualche lettore si stia ponendo la domanda: il bimbo con cecità congenita possiede le medesime potenzialità intellettive o esse sono minori o maggiori rispetto al coetaneo che vede?
Anche in questo campo è doveroso appianare qualsiasi dubbio e soddisfare eventuali domande.
Non avendo finora alcun riscontro scientifico, sembra opportuno partire dal presupposto che il bambino con cecità congenita non si differenzia in nulla dal coetaneo vedente. La disabilità visiva, infatti – a meno che non si tratti di malformazioni in bambini ad alto rischio o nati prematuramente e con basso peso – si scoprirà soltanto successivamente. Ciò significa che vien meno qualsiasi presupposto per continuare ad affermare, pregiudizialmente, che si riceva a priori dal cielo, “per grazia ricevuta” o, come sostiene qualcuno, per “equa compensazione divina”, poteri soprannaturali o paranormali. È doveroso, invece, restare sempre con i piedi per terra e rifarsi costantemente all'osservazione scientifica e alle statistiche sistematiche. La “normalità” della vita o, per contro, “l'accentuarsi dei limiti dell'Handicap”, dipenderanno, in larga parte, dall'efficacia e dalla tempestività degli interventi educativi riguardanti il piano motorio-sensoriale, posti a disposizione del piccolo.
Ciò premesso, è assolutamente inopportuno – soprattutto durante il primo anno di vita del bambino – affidarsi al così detto “fai da te”, ma neppure ai consigli di quei tanti che, pur essendo ancor più sprovveduti, si sentono autorizzati a minare il futuro cammino di quella creatura.
Tutti sappiamo che il primo compito educativo spetti alla famiglia. L'assunto è talmente ovvio che nessuno, almeno credo, dubiterà di ciò. Ma, con quel senso di profonda responsabilità che mi caratterizza, mi domando: quale intervento educativo la famiglia potrà assicurare al suo piccolo, se essa stessa non possiede alcuna preparazione specifica o non riceve dagli enti preposti alcun Sostegno psicologico?
A causa di tali carenze o inadempienze, infatti, “scoperta” la disabilità del figlio, accade molto spesso che i genitori – ignari del comportamento da tenere – lascino comodamente e per lungo tempo il piccolo nella sua culla o nel suo lettino, conseguenza logica di quel comune pensare: …tanto, non vede il “poverino”!…
Sono considerazioni simili, talvolta inconsce, ma qualche volta espresse persino esplicitamente, che innescano una pericolosa spirale di valutazioni e di errori comportamentali esattamente opposti a quanto andrebbe affrontato con immediatezza.
I genitori non si sentano colpevolizzati dai miei scritti o dalle mie riflessioni, tutt'altro. So molto bene che i loro comportamenti – sia pure non sempre appropriati per i fini da conseguire – non scaturiscono affatto da una insufficienza di affetto nei confronti del piccolo; il loro modo di agire, semmai, è dettato da un accentuato senso di responsabilizzazione, anche se, però, nella maggior parte dei casi, produce un inopportuno “comportamento iperprotettivo” nei confronti del piccolo.
I genitori, tuttavia – anche se impreparati e sgomenti per l'imprevisto evento luttuoso – si adopereranno ugualmente per essere di aiuto al loro bambino.
In questo primo periodo, molto probabilmente, essi limiteranno il rapporto comunicativo con il piccolo inviandogli soltanto messaggi vocali i quali, pur svolgendo inevitabilmente una funzione essenziale, da soli non potranno mai costituire un significativo e adeguato processo educativo, poiché saranno insufficienti per “ricreare” l'Ambiente familiare. Il messaggio Vocale o sonoro è senz'altro di grande aiuto per la localizzazione a distanza di una persona o di un oggetto (se sonoro), ma resterà pur sempre un elemento singolo e insufficiente per potenziare una più ampia ed affinata Educazione sensoriale. Del resto, non sarebbe neppure auspicabile che tale Educazione si fondasse esclusivamente o prevalentemente sull'aspetto uditivo-sonoro, poiché in tal modo si potenzierebbe soltanto “l'aspetto statico dell'Orientamento”, ma non quello “dinamico”. Tale prima fase, infatti, anche se importante, rischierebbe di restare un momento molto limitato se non venisse accompagnato, in maniera imprescindibile e sincronica, dall'altra fase: quella “partecipativa e dinamica”.
Nell'educare la sensorialità uditiva, infatti, è opportuno tener presente che Ascoltare e distinguere le voci dei familiari, i rumori prodotti dagli oggetti, sia di quelli più prossimi, sia di quelli provenienti da distanze maggiori o dall'Ambiente esterno, è sì importante e doveroso, ma si abbia l'accortezza di suscitare sempre nuovi stimoli, affinché l'attenzione del piccolo sia costantemente pronta e vigile a cogliere quanto gli accade attorno. Per non essere ripetitivi e per offrire motivazioni sempre più numerose e diversificati, sarà opportuno, con l'aiuto dei genitori, ovviamente, trasferire il piccolo da un ambito domestico all'altro. Allo stesso modo, sarà opportuno porre tra le sue mani pupazzetti in gomma o in morbida plastica, sollecitando il piccolo a toccare e a conoscere oggetti nuovi, “dando vita” a quanto avvertito sensorialmente. Il “sentire” (in situazione statica) e il “sentire” (in situazione dinamica) devono costituire una fusione simbiotica: due momenti sensorialmente distinti, ma concretamente integrati tra loro.
Il bambino, avviandosi sensorialmente verso la conoscenza del mondo, si affiderà inizialmente e in prevalenza all'ascolto dell'Ambiente domestico che, se pur apparentemente povero e limitato, sarà di rilevante supporto nelle fasi successive che si arricchiranno, giorno dopo giorno, di nuove esperienze quotidiane.
Con il passar del tempo – tempo prevedibile in anni di personale sperimentazione – la persona apprenderà persino ad “avvertire a distanza la presenza degli oggetti” e a “discriminarli”, captando le oscillazioni o gli spostamenti minimi dell'aria nell'Ambiente.
Non ci troviamo assolutamente di fronte a fenomeni sovrumani o paranormali; avvertire la presenza di ostacoli è semplicemente una questione di “Educazione sensoriale specifica” e costante. Il volto, la fronte e i padiglioni auricolari, in maniera particolare, si educheranno a cogliere le sia pur impercettibili “sensazioni anemestesiche” e “cinestesiche” dell'aria sempre in movimento. Nulla di nuovo, considerato che parlo di quelle stesse onde sferiche (e non circolari) mediante le quali chiunque percepisce suoni e rumori. Il privo della Vista, però – e non certo per grazia ricevuta, ma per aver dovuto affinare la sua percezione sensoriale attraverso l'esercizio costante – non soltanto può avvertire la presenza degli ostacoli, percependone lo spazio pieno o occupato, ma riesce a costruirsi mentalmente una “mappa topografica dell'Ambiente”, collocando ciascun oggetto nel suo spazio euclideo, rispettando le reali distanze fra un oggetto e l'altro, ma anche, e direi soprattutto, la distanza tra sé e ciascun oggetto.
Trattando in precedenti miei scritti “dell'Orientamento immaginativo-motorio”, mi sono più volte soffermato sull'imprescindibilità di tale aspetto educativo sensoriale. In essi rilevavo, infatti, che “l'insieme”, la “Sintesi” o la “fusione” di tutte le sensazioni provenienti dai “sensi residui” costituiscono la “percezione aptica”, quella particolare capacità che si potrebbe sviluppare in chicchessia, ma che la persona priva della Vista affina opportunamente per “orientarsi nello spazio euclideo” e per “percepire” e “discriminare”, ad una ragionevole distanza, gli oggetti presenti nell'Ambiente.
Continuando, quindi, si abbia presente che, mediante un “Percorso educativo attivo”, tendente ad affinare in maniera specifica i “sensi residui” o “sensi vicarianti”, il bambino animerà l'Ambiente ed egli stesso, sia pure inconsapevolmente, pian piano si renderà conto di trovarsi nelle condizioni di superare da sé le piccole e grandi resistenze, le opposizioni e le negazioni psicologiche dei suoi familiari. Comincerà ad avvertire il desiderio di spostarsi da un punto all'altro dello stesso Ambiente e, successivamente, da un Ambiente all'altro della casa, soddisfacendo la sua spinta interiore a scoprire quel mondo che, se pur ancora sconosciuto, egli lo avverte già, sia pure in maniera indistinta e confusa.
Accesa la fiammella interiore, su tali binari dovranno lavorare la famiglia e la Scuola. Da questo momento in poi, il bimbo non vorrà più restar fermo e subire passivamente la presenza dell'Ambiente, ma si adopererà, spostandosi autonomamente, di ampliare sempre più l'orizzonte della sua conoscenza del mondo. Apprendendo il “mestiere dello spostarsi”, il piccolo diverrà sempre più spigliato, intraprendente, voglioso di conoscere e di sperimentarsi – al momento ancora in maniera inconsapevole e inconscia – a superare ciò che sino a quel momento altri gli avevano impedito di compiere.
Famiglia e Scuola colgano questo momento di miracolistico desiderio; non si facciano nuovamente coinvolgere in sentimenti di paura, di ansia, di preoccupazione. È necessario, anzi, che i genitori comprendano in tempo breve quanto sia deleterio l'essere iperprotettivi con il loro piccolo. È importante, semmai, che essi – prima ancora che nel bimbo facciano sorgere quel sentimento di pigrizia mentale e di incapacità a muoversi – si concentrino con il massimo impegno a sollecitare il figlio a muoversi, superando il timore che possa inciampare ad ogni passo e farsi male. Non si dimentichi mai o non si perda mai di Vista, poi, che il bimbo, soltanto attraverso il movimento, potrà costituire le fondamenta, la piattaforma su cui edificare la sua capacità di rappresentarsi immaginativamente lo spazio, presupposto necessario per il conseguimento dell'Autonomia personale.
Comprendo perfettamente il disorientamento, l'ansia e le preoccupazioni dei genitori che sono impegnati in ogni istante nella gestione di un problema così delicato. Essi, però, sempre proiettati alla Ricerca di qualche esperienza analoga, di un suggerimento o di qualche consiglio, di una parola di conforto o di un Sostegno psicologico, dovranno avere “spalle larghe e forti”, per ignorare o non sentire le tante dicerie, il chiacchiericcio di tutti coloro che sembrano “nutrirsi” di pettegolezzi e di maldicenze.
I genitori, invece, dovranno concentrarsi sull'Educazione del loro bimbo, abbandonando qualsiasi “atteggiamento iperprotettivo”. Dovranno convincersi che l'iperprotezione – il tener lontano il figlio dai rischi reali o presunti – non è assolutamente una Dimostrazione di maggiore affetto. Dovranno essere consapevoli, invece, che, l'assunzione di un simile atteggiamento, spesso, molto spesso, scaturisce dal voler mascherare inconsapevolmente la celata reiezione della disabilità o una subdola forma di pietismo.
Mettendo al riparo il bimbo dalle esperienze della vita quotidiana, bloccheranno in lui qualsiasi processo di crescita, spegnendo o ritardando quella “fiammella” emotiva interiore, che è il presupposto necessario per la sua conoscenza. Contribuiranno, a loro insaputa, a ritardare persino la deambulazione che, a sua volta, si rifletterà pesantemente sul piano dell'Autonomia e della conoscenza. Il piccolo – imbrigliato nella maglia dei divieti e delle inibizioni dei suoi genitori – continuerà a non manifestare alcun desiderio, alcuna spinta emotiva interiore, né proverà mai a rompere il guscio di quel suo immobilismo impostogli da altri. Si spegnerà in lui qualsiasi desiderio/bisogno di muoversi in quello spazio che lo avviluppa e lo soffocano, negandogli ogni nuova conquista o nuova conoscenza.
Ma vi è ancor di più: i genitori, non ravvisando nel piccolo alcun progresso concernente la sua Autonomia, si persuaderanno sempre più – confermando implicitamente le maldicenze popolane – che lo stato di stentata mobilità è causato dagli effetti derivanti dalla disabilità visiva e non da scarse motivazioni esterne negate al piccolo. Sarà difficile, pertanto, convincerli che proprio quelle limitazioni incideranno pesantemente e irreversibilmente sull'intero arco della vita del loro figlio. Si instaurerà, in definitiva, un pericoloso circolo vizioso.
È facile supporre, inoltre, che, se non si ritiene necessario far conoscere al bimbo lo spazio vitale, perché si dovrebbe considerare utile impegnarsi a fargli scoprire le diverse parti del suo corpo? “Non vede, poverino, perché dovrebbe vestirsi, svestirsi, mangiare, camminare da solo? Non ci sono io a soddisfare tutti i suoi bisogni”?
Frequentemente non si considera, infatti, che il bimbo privo della Vista – alla pari dei suoi coetanei – non potrà mai giovarsi dell'Immagine virtuale proiettata in uno specchio; né potrà mai Acquisire tali conoscenze mediante l'imitazione autonoma e spontanea guardando l'adulto. Eppure, anche per il bimbo minorato della Vista – alla pari di qualsiasi altro bambino - la coscientizzazione dello schema corporeo costituisce una conoscenza utile e necessaria, poiché essa è a fondamento della consapevolezza del “sé” fisico, che potrà essere acquisita attraverso esercizi-gioco semplici e piacevoli.
Non si rimproveri mai, quindi, un bambino affetto da cecità se – rompendo le rigide regole che solitamente regnano nell'ambito scolastico – senza chiedere preventivamente l'autorizzazione, cerca di spostarsi da un punto all'altro della casa o della classe. Non gli si impedisca di allungare le manine per “toccare”, per “esplorare”, per “conoscere”.
Non spegnete il suo interesse e il suo desiderio di conoscere. Incoraggiatelo, fategli avvertire, semmai, tutto il vostro consenso e il vostro Sostegno.
È questo il momento straordinario del passaggio “dalla percezione passiva – come è stato accennato in precedenza – a quella attiva”, dalla “all'esplorazione guidata nello spazio”, “alla scoperta e all'osservazione autonoma” di esso.
Tutto ciò si attuerà se si percorrerà un normale processo educativo in maniera lineare, corretto e progressivo. Se, invece, gli interventi educativi e di potenziamento dovessero procedere in maniera caotica, non ponendosi obiettivi chiari, sia pure tra mille difficoltà – ma non riconducibili assolutamente alla mancanza della Vista – anche gli esiti, come si può dedurre da quanto sopra prospettato, saranno inevitabilmente difformi e sicuramente negativi.