Incarnazione (Racconto)
Donato Taddei Aggiornato il 31/03/2020 00:001
Quel viaggio non era precisamente sprofondare, quanto piuttosto galleggiare su un fluido più denso, massivo.
A mano a mano che il fluido penetrava tra le sue particelle estremamente rarefatte la gravità cominciava a farsi sentire, portando con sé la forza-peso, le collisioni particellari si manifestavano come urti, pugni, lasciavano segni, contusioni.
Poi cominciarono a sentirsi gli effetti convettivi del calderone cosmico: un saliscendi che toglieva un po' il respiro come sulle montagne russe, poderose risalite che sembravano volerti sputare oltre la superficie del fluido denso, risucchi via via più famelici che tiravano sempre più in giù, alternati a fluttuazioni più o meno lunghe su livelli via vie decrescenti.
C'era però in quel trasporto passivo da annegati che affondano, a dispetto di tutto una sensazione nuova e penetrante come quegli urti, quell'essere in forse ogni momento: la ragione riteneva che le particelle di fluido che l'avevano sommerso ed ammollato, sfruttando la sua energia avessero cominciato a germogliare la speranza.
E doveva forse essere così, se ora cominciava a sentire quasi un sollievo nel dannarsi, in quella suspence continua, in quel riemergere per sprofondare di nuovo più in basso.
La faccia nascosta della ragione suggeriva alla sua omologa visibile che non si capacitava perché gli annegati non sembravano affatto altrettanto contenti quando scomparivano inghiottiti, che essi stavano andando alla morte, mentre nel caso di specie si andava verso la vita di cui quel viaggio un po' masochista era appunto il preludio.
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Quello che avrebbe potuto essere un indicatore di Dimensione sul Monitor di un Nautilus esistenziale segnalava un punto molto prossimo alla prima Dimensione, cioè il livello della interazione gravitazionale.
E la finestra di dettaglio spiegava come in tali condizioni le soluzioni di continuità tra i segmenti del Vettore temporale fossero molto distanti tra loro e che pertanto ciascun segmento era caratterizzato da una grande quantità di energia cinetica e dunque da enormi masse e grandissime distanze tra i fenomeni.
In effetti i moti convettivi e le forze di marea del fluido si erano in certo senso attenuati, gli urti più lenti e pervasivi,e la navigazione somigliava piuttosto a un planare di pipistrelli e, quando i moti convettivi tornavano a farsi sentire, sembrava mimare le evoluzioni di un parapendio, col suo omino a fare da contrappeso.
Era proprio questo l'aspetto più stimolante della vicenda: condizionare con la passività cosciente ritmi e fluttuazioni altrimenti indifferenti e casuali, circoscrivendoli in una traiettoria chiusa, dove ciascun momento, di volta in volta chiamato presente, era al tempo stesso causa ed effetto, passato e futuro di altro presente.
Vero od illusorio che fosse il goal del gioco era proprio questo, dare un senso, un ordine al caos, o al caso se vi piace di più, come il gatto che chiude la ciambella mordendosi la coda.
Il passaggio alla prima Dimensione produceva la coagulazione dello strato eterico più prossimo alla Materia che precipitando e cristallizzandosi in una sorta di grande icosaedro andava a costituire il nucleo primordiale dell'inconscio subliminale su cui ciascun viaggiatore annotava come sul diario di viaggio.
Valeva la pena di dare una occhiata a queste annotazioni, tanto per farsi una idea di come l'avevano presa gli altri malcapitati passati prima.
Cetaceus aveva annotato:
"Le anime sono eteriche e spirituali quanto lo sono i capodogli: emergono, si soffiano il Naso, si riempiono i polmoni di ossigeno per ritornare a a consumarlo in santa pace ed anossia sul fondo dell'abisso".
Ed è per questo che i capodogli ne hanno una, enorme, o meglio commisurata al volume racchiuso nell'aura, che deve essere completamente pervaso da questo vuoto, che alcune scimmie più intelligenti della famiglia degli oranghi amano chiamare "etere cosmico",, altri aria, vento, respiro, spirito, anima.
Philosofus invece aveva aggiunto la Foto di una Donna pelosa, Santippe, moglie di un finocchio di Atene, molta nota per la produzione nel suo orto dietro casa di una sconvolgente varietà rossiccia di "erba del diavolo" di Aspromonte, e per le pozioni a base di segale cornuta secondo la Ricetta dei sacerdoti del tempio di Eleusi che soleva preparare nei conviti erotico-orgiastici che si organizzavano a casa sua.
E infatti doveva esser ben fuori quel giovanotto dalle spalle larghe, e con quel culetto a mandolino che suo marito Socrate preferiva di gran lunga al suo scaldabagno, per raccontare che la realtà è solo il riflesso visibile di una altra realtà che evidentemente vedeva solo lui, soprattutto quando il villoso scaldabagno aggiungeva alla pozione ammannite e peyote essiccati arrivati da Creta.
I medievali poi, resi ancora più dogmatici e stupidi dal bigottismo, si erano per secoli masturbati godendo al pensiero che smaterializzarsi, sparire, dissolversi, raggiungere una Dimensione senza spazio e senza tempo, senza Gusto e senza dannazione, un limbo insipido ed immutabile fosse il top della goduria che battezzarono eternità.
Etereus scriveva:
"È ora che quei coglioni dell'ultimo piano si capacitino che non sta scritto da nessuna parte che se ti riesce una volta di fare per intero tutti i 27 pianerottoli della via crucis,ed arrivare alla 27-esima Dimensione ti debba riuscire una seconda: infatti solo la presunzione di chi scambia la fortuna o culo per la propria Intelligenza permette di non capire ciò che capisce anche un bambino: le soluzioni accettabili di un sistema di relazioni sono indipendenti dal numero di tentativi adottati per la soluzione, semplicemente perché si riferiscono ai soli termini noti e pertanto il numero di soluzioni ammissibili è funzione inversa della complessità delle relazioni note del sistema che in determinati casi può anche ammettere una o nessuna soluzione.
Non è che per essere annoiati a morte di una perfezione troppo pulita e asettica sia proprio sempre necessario sommozare nella merda, specie se fino a quel momento fu schifata.
Mysticus aveva annotato semplicemente:
"Benvenuti al mercatino di Religiolandia".
C'era il mercante di stuoie che seduto tra le gobbe del cammello arringava la kasbah con le sue vocali aspirate giurando di qua e di Allah che il capo aveva mostrato solo a lui la formula della Creazione, arabescata all'esterno della tenda da cui dominava l'universo; spiegava poi la sua Ricetta, che pure diceva gli avesse dato il capo in persona, per sistemare amichevolmente le cose, attraverso le raccomandazioni, assegnando a ciascuno la possibilità di intercedere per ben 72 parenti: soluzione decisamente divina per collocare tutta la Humma e almeno un'altra decina di hummah nei dintorni.
ma il panciuto cinese sorrideva affabile a quelle balle.
Al suo paese queste menate non c'erano. Al suo paese "il Gusto della pela si assapola mangiandola", come avlebbe poi detto il "glande timoniele".
E fu proprio per via che sembrava illuminarsi quando poteva gustare qualcosa di buono che lo chiamarono il Budda o l'illuminato.
Si racconta che proprio a causa di ciò fu preso per la gola e avvelenato con un dolce di riso, sebbene all'età di 80 anni.
Al banco dell'ebreo era invece tutto un andirivieni, un discutere, trattare, pestare i pugni sul banco, e infine un partire soddisfatti e carichi di fagotti in tutte le direzioni.
Stupende ragazze indiane, in shari arancione, offrivano ai visitatori le bellezze del Nirvana, spiegando con un sorriso che la goduria dell'illuminato sta nella contemplazione, nell'indovinare o immaginare, insomma al massimo vedere, e appena quanto basta, in ogni caso non toccare.
Mentre sul Monitor continuava a svolazzare il "guest-book" dei viaggiatori una cosa appariva chiara: la gravità rendeva senza senso il galleggiamento alla superficie della Materia, la gravità esigeva un sistema multicentrico e multilivello di centri di gravità in grado il canalizzare il movimento in traiettorie chiuse intorno ad essi, una sorta di ancoraggio.
Fu appunto questa caratteristica della prima Dimensione a suggerire a viaggiatori remoti l'idea che l'universo fosse costituito da un sistema rotante di "palle cinesi", simili a matriosche, sfere cave concentriche su cui fissare gli astri, un giramento di palle però circoscritto massimo a una decina, concetto poi esteso e complicato all'infinito dai posteri che moltiplicarono appunto all'infinito palle e annessi giramenti e vi aggiunsero altresì gonfiamenti e sgonfiamenti più o meno ciclici per ciascun ordine di palle che quindi cominciarono ad assumere forme ovali, schiacciate, spiraliformi, tentacolari.
Dal suo punto di osservazione era difficile stabilire in quale o quante palle si trovasse e intorno a quali centri andasse a chiudersi la sua traiettoria.
La cosa appariva però necessaria e ineludibile se non ci si voleva ritrovare diluiti e intrappolati in quell'unto denso, sempre più denso, come le particelle di scisto negli strati carboniferi e bituminosi.
Il passaggio alla prima Dimensione aveva già prodotto un ribaltamento della prospettiva rispetto alla precedente a dimensionalità: adesso la necessità di mantenere una identità organica era diventata l'esigenza prioritaria laddove la fase precedente era stata scandita dalla quasi disperata Ricerca di contaminazione.
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Pareva si dovesse arrivare col bel tempo, almeno stando al Monitor: mostrava infatti una bella nube lenticolare come quelle che si formano in estate sulle cime dei rilievi per l'azione delle brezze di valle, bianca e lattiginosa.
O forse non erano le previsioni meteo, ma solo l'approssimarsi della destinazione, e in questo caso ci si doveva ritenere fortunati: era andata di culo: sa che panorami mozzafiato da lassù, Aprire la finestra e vedere il mondo disteso ai tuoi piedi.
E doveva essere proprio così perché la nube ingrandiva a Vista d'occhio ed ora mostrava tutti i suoi dettagli.
Il disco in realtà era molto sfrangiato ai bordi, anzi, a mano a mano che ci si avvicinava, si mostrava piuttosto come un grande nodo da cui si dipartivano trame in ogni direzione.
Ed è appunto ad una di queste trame che ci si stava velocemente avvicinando, Era forse per via della direzione tangenziale ma quella bella nuvola sembrava ruotare intorno al suo centro, mentre fluttuava nel vento insieme ad un piccolo sciame di altre nuvolette.
Comunque s'era capito, niente panorami mozzafiato aprendo la finestra.
Infatti la nube lattiginosa si era rivelata una illusione ottica.
Ora infatti appariva già al di sopra come se ci si trovasse già dentro, eppure non c'era stato nessun passaggio, e non solo.
A meglio vedere non era affatto una nuvola; somigliava piuttosto a un albero di natale, nel senso che erano ben visibili serie di lampadine di cui si poteva indovinare l'intreccio di fili invisibili che le alimentava.
Da quelle parti non si doveva badare a spese: altro che lampadine erano dei globi immensi e solo passargli accanto a qualche anno luce di distanza scioglieva alquanto il fluido untuoso di cui ormai era costituito, ridando movimento alle sue particelle eteree che cominciavano a ribollire in un moto convettivo che stavolta originava dall'interno.
Ora il Monitor inquadrava il globo azzurro verso cui ci si stava dirigendo, o forse no perché la gravità sembrava portarlo dritto a schiantarsi invece contro una immensa fornace le cui vampe gialle squagliavano del tutto il suo involucro viscoso.
Bisogna essere proprio anime sfigate per fare la fine delle falene che vanno ad arrostirsi sulle candele, senza manco avere avuto la soddisfazione di cominciare.
Il problema era che le anime, a differenza dei viventi non hanno un'anima da raccomandare in questi casi estremi.
Per fortuna però il Monitor tornò ad inquadrare il globo azzurro verso cui ci si stava dirigendo e, dopo quel brutto spavento, dovette concludere che almeno da sopra non era affatto malvagio: intanto non c'era pericolo di squagliarsi perché non emetteva calore, anzi rifletteva alquanto bene quello della fornace, e cominciò a pensare che appena giunto si sarebbe rinfrescato l'anima con una ottima granita.
Il ghiaccio per secchielli e grattate era bene in Vista, abbagliante nel sole.
La segnaletica indicava "Purgatorio" ed appena più avanti un cartello diceva:
"Benvenuti all'hotel Terra: la Direzione augura alla gentile clientela buona permanenza".
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Stavolta di sicuro non si sbagliava. Quello era davvero un posticino niente male a rimirarlo dalla terrazza: La piattaforma girevole faceva sì che sembrava fossero invece le luci a muoversi e sull'orizzonte ovest la fornace su cui aveva temuto di schiantarsi stava dipingendo uno splendido tramonto sull'oceano, o, forse anche le fornaci hanno bisogno dopo quel calore bestiale di un tuffo rinfrescante nell'azzurro che gioca a nascondino col rosso facendo cucù da dietro le ombre.
L'indicatore di Dimensione indicava un valore molto prossimo alla seconda Dimensione, il livello della interazione elettromagnetica, e, come nel passaggio precedente, fu immediatamente chiaro un ulteriore rovesciamento di prospettiva: ciascuna manifestazione sembrava avere un ciclo vitale autonomo, o forse era tenuto insieme da una anima.
Che rintronato! l'aveva pure ben Vista l'indicazione Purgatorio ed era quindi chiaro che quelle luci che si rincorrevano in tondo, quelle onde che costruivano sinfonie di suoni e spruzzi, quel vento che portava a spasso greggi di nuvole, avesse dietro un'anima a spingere, se no che purgatorio era.
Sorrise al ricordo di quanto aveva scritto il viaggiatore sul guest-book a proposito di quel giovane gay che cianciava di essenze eterne e le chiamava Idee, cioè ciò che fu già visto, asserendo contemporaneamente che queste non possono vedersi se non come barbagli o riflessi.
La finestra di dettaglio sul Monitor spiegava che la seconda Dimensione è caratterizzata dal passaggio dall'uno al molteplice, dal semplice al complesso: era l'indefinito che si definisce differenziandosi: Questa Dimensione veniva anche chiamata "il regno dei dipoli" che ne costituivano l'archetipo: l'essere è tale solo se diviene, e il divenire ha una polarità che ne definisce il verso, o se si preferisce "senso" di marcia del movimento all'interno di una traiettoria chiusa che passa alternativamente dai poli, per un numero finito e neanche troppo grande di cicli, e ciascun ciclo è a sua volta suddiviso in una serie infinita di stati o stadi, prodotti dall'interazione variabile delle polarità in funzione della posizione corrente sulla traiettoria, chiamata presente.
Il presente poteva essere quindi definito come la tangente in quel punto della traiettoria, ed apparire come la sua pulsione centrifuga.
In conclusione: non poteva esserci nulla se non i rapporto col resto e il tutto si giocava nelle infinite combinazioni che questo rapporto poteva determinare,e quindi gli attori erano tre: io, l'altro e l'interazione tra noi, dove per io si intende ogni individuo, per altro come gli appare il resto del mondo,e per interazione come riesce a rapportarsi, cioè come vive.
Chissà perché gli antroporanghi più bigotti chiamano pomposamente questa cosa "mistero della trinità"? forse perché da scimmiette di divertono un sacco a mimare la realtà, e da bambini a trasformarla con la fantasia e ciò gli rimane in parte anche da adulti; Sulla base di queste indicazioni rimaneva da capire: ma l'anima si divide o no? Non era spiegato né, a ben pensarci, era così importante.
C'era pure da capire se la sua destinazione era assegnata o se avesse dovuto scegliere.
Ed anche questo era un falso problema: le scelte obbligate sono si sa "libere" per definizione; infatti la massima espressione conosciuta della libertà è quella di poter appunto scegliere in piena libertà se bere o affogare.
L'ossigeno di quel luogo doveva avergli offuscato il cervello, si sentiva euforico e gli girava un po' la testa, come quando si è un po' alticci.
C'erano troppe cose che non quadravano, anzi sembrava non ci fosse proprio niente che quadrasse, proprio non si riusciva ad afferrare il senso di quel brulicare frenetico, così gradevole all'occhio, che si scorgeva di sotto.
Per dirne una:
nel corso di preparazione al catapultaggio dalla 27-esima Dimensione avevano ripetuto fino alla noia di tenere a mente che l'unità è qualcosa in più della somma di tutte le sue parti.
Ma qui era proprio il concetto di unità e di parti che non si riusciva ad afferrare, cos'era il tutto e cosa il niente, cosa l'intero e cosa le sue parti; quello che con buona approssimazione si poteva affermare era che il tutto e il niente in questa Dimensione non esistevano allo stato puro, ma coabitavano in misura diversa in ogni fenomeno e che erano i rapporti di forza tra di essi a produrre le transizioni spaziotemporali che scandivano il loro ciclo vitale.
Ed era forse per questa difficoltà a comporre in unità finita l'infinito molteplice che avevano dotato di protesi alla Ipstorius il suo compagno di corso Achille il più-veloce per vedere se stavolta fosse stato finalmente capace di superare il test di ammissione e non farsi battere come al solito alla corsa da una vecchia tartaruga, a dispetto della logica, dell'evidenza e soprattutto del tanto decantato più-veloce.
Alla reception le formalità furono minime. L'addetto spiegò che l'Hotel Terra non effettuava servizio di deposito bagagli, in quanto qui i clienti non depositavano niente ma solo ritiravano fardelli e bagagli, od anche croci; però queste erano un optional a parte; e quindi indicò con la mano la direzione della rampa.
Dalla cima della rampa vide un pannello di cirrostrati aleggianti che riportava a grandi caratteri color piombo: "e lo Yin e lo Yang si accoppiarono a formare i 10.000 esseri".
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Il campo gravitazionale terrestre era sufficientemente forte da farsi sentire, soprattutto per via del fluido massivo che lo inglobava e zavorrava perfino troppo, ma tutto sommato la sua essenza rimaneva ancora abbastanza leggera da non precipitare e dissolversi nell'impatto con l'atmosfera.
Era dunque un atterraggio particolarmente morbido in cui i moti ascensionali dell'atmosfera spesso interferivano con la gravità dando alla traiettoria un andamento irregolarmente tangenziale; più che ad una caduta in picchiata la discesa somigliava a un rallenty molto rallentato delle evoluzioni e dei rimbalzi di una palla da ping-pong.
Da quella altezza la notte stellata era magnifica e la luna, riflettendosi al di sopra delle nubi, faceva indovinare le forme di un grande corpo addormentato sotto un lenzuolo ricamato di argento.
- Quale che fosse la sua destinazione ne valeva la pena - pensò, o forse solo percepì, ma non faceva differenza:
"Esse est percipi", "ciò che si percepisce è", aveva sentenziato il reverendo Berkeley, e doveva essere così. All'inizio non gli dispiacque affatto lasciarsi andare alla deriva, scarrozzato di qua e di là, di su e di giù, dalle correnti mesosferiche. Certo aveva una missione da compiere, una destinazione da raggiungere, ma questo non implicava necessariamente che nel raggiungerla non potesse gustarsi il panorama; anzi, al contrario, la logica suggeriva essere cosa per lo meno sensata capire in quale dannato buco o trappola ci si stesse andando a cacciare. L'indicatore di Dimensione saliva velocemente indicando l'approssimarsi della terza Dimensione, cioè il livello della interazione elettrochimica e la finestra di dettaglio spiegava che il suo tratto caratteristico era rappresentato dalla molteplicità delle forme e dalle loro trasformazioni caotiche.
l'uno si era svegliato dalla sua "stasi" o estasi iniziando il movimento, il movimento aveva generato la polarità e il senso e quindi l'alternanza, e questa, nelle sue infinite manifestazioni, si srotolava in infinite forme, le quali avevano a loro volta uno o più cicli, a loro volta suddivisi in stadi.
- che casino - si disse. - allora una povera anima a cosa si attacca?
- alla essenza no perché l'essenza dovrebbe appunto essere lei, alle forme no perché sono apparenze, manifestazioni occasionali dell'essenza, al presente no perché è ad essa tangenziale e centrifugo. boh! -
Fosse una volta che ai corsi preparatori ti spiegassero mai qualcosa che ti possa venire utile sul campo.
Del resto il tutor si era fatto una risatina quando aveva spiegato che se tutti i dettagli della missione fossero chiariti e risolti in anticipo la missione stessa, che già aveva poco senso, non ne avrebbe avuto alcuno. È infatti da perfetti imbecilli inviare qualcuno a risolvere problemi che sono stati già risolti e da dio. - Pur ingarbugliandosi in questi pensieri da combinarsi come il pulcino nella stoppa, di tanto in tanto non rinunciava a dare una sbirciatina al paesaggio: dopo tutto, anche se ancora per poco, era ancora al di sopra delle nubi, "in cielo" come si dice, ancora sufficientemente fluido per sentire la catena al piede e relativa palla di ferro chiamata angoscia, tipica degli strati sottostanti verso cui stava lentamente planando.
Era ormai quasi a contatto con quello che dall'alto gli era sembrato un lenzuolo ricamato d'argento su un corpo addormentato ma che visto da vicino pareva si dovesse ammarare da un momento all'altro in un immenso spumeggiante boccale di birra, o ancor meglio di panna montata che offuscava e attutiva nella lattigine la luce degli astri. Splash! siamo nella schiuma! o forse nel pentolone, a giudicare dal ribollimento che si era scatenato all'interno dello strato di nubi. Parevano quelle nubi dall'alto così pacifiche e coreografiche, innocue cartacce trasportate dal vento, greggi al pascolo nell'azzurro, e invece dentro si torcevano come visceri, si gonfiavano, schiacciavano, pulsavano, salivano, scendevano, si spiegazzavano, si srotolavano, sfrangiavano, si stracciavano, tremiti elettrici le percorrevano. A quanto pareva il ballo era cominciato: con quegli scrolloni,rollii e beccheggi, beccate e rulli compressori c'era da preoccuparsi di non perdere troppi pezzi o particelle per strada, se non addirittura di disintegrarsi completamente; questo poi sarebbe stata una grandissima figuraccia, significava ritrovarsi sulle bocche di tutta la 27-esima Dimensione, passare per l'idiota che si sfascia sulla prima nuvola che incontra.
Chissà perché i parenti stretti degli oranghi quando dicono a qualcuno che ha la testa nelle nuvole sottintendono che egli sia distratto ed affacciato nei suoi pensieri.
I parenti stretti degli oranghi hanno rinunciato perfino a salire sugli alberi, figurarsi sulle nuvole e quindi, presuntuosi come sono, non hanno la minima idea delle titanomacchie che ivi si combattono.
Il diabolico balletto continuò per un bel pezzo e fu allora che si rese conto che avrebbe dovuto convivere con l'angoscia.
Certo sapeva che prima o poi quegli strapazzi sarebbero pure finiti, ma era proprio la fine che lo inquietava: già se le sentiva le risatine sarcastiche e il pettegolezzo della 27-esima Dimensione, ne avrebbero avuto per movimentare un buon pezzo di eternità considerato che lassù di solito non succede quasi niente e quindi non c'è nemmeno niente di cui discorrere e spettegolare.
D'altra parte, se anche non fosse stata questa la fine ingloriosa che lo aspettava, restava comunque l'angoscia e la trepidazione di sapere quale altra fine gli fosse toccata.
Come già era successo alcune dimensioni più in alto, si sentiva inglobato, risucchiato, ammollato, ma l'acqua era ben più pesante del precedente fluido massivo, e inoltre quel dannato solvente aveva la capacità di isolare le sue particelle recidendone i legami, ed era forse per questa via che si realizzava il passaggio dall'uno al molteplice; certo era che ancora un poco e si sarebbe ritrovato col numero critico di particelle al di sotto del quale nemmeno una anima può definirsi tale.
Con le poche energie che gli rimanevano chiamò a raccolta tutte le particelle superstiti e ordinò loro di tenersi avvinghiate a qualsiasi costo.
Non ce ne fu quasi il tempo: una cascata d'acqua gli rovinò addosso dall'alto trascinandolo seco nella sua caduta per cui si trovò ben presto al di sotto delle nubi e in rotta di collisione col piano inferiore, o meglio si schiantò spruzzando su un altro gocciolone che marciava pure esso verso il basso, ma più lentamente perché più piccolo: i più grandi, fossero pure goccioloni giganti, cadono sempre più velocemente rispetto ai piccoli.
Non avendo in dotazione un paracadute concluse che bisognava comunque arrestare o almeno rallentare la caduta, per esempio aggrappandosi a qualche corpuscolo che galleggiava a mezz'aria e si diresse verso un granello che aveva adocchiato alla luce di un lampo appena un po' più sotto, urlando con la poca Voce rimasta alle sue particelle di aderire ad esso il più possibile.
E fu in quel preciso momento che una raffica di vento affibbiò loro una tremenda sventola da farli ruzzolare per tre ottavi di cielo e, come c'era da aspettarsi, la maggior parte delle residue particelle perse l'aggancio al granello salvagente disperdendosi.
Questo fenomeno è ben presente nelle storie e leggende che si tramandano da millenni contadini e marinai o forse chi compone le loro storie: raccontano infatti che meteore e tempeste trasportino anime.
guardò per un momento in direzione della sua traiettoria disperatamente augurandosi che quel granello tenesse ancora un poco; sotto si scorgeva il mare in tempesta; mancava ancora poco per toccare il pelo irto dell'acqua e già la prima schiuma di immensi cavalloni lanciava verso di loro i suoi sputi.
Si dispose mentalmente all'irreparabile: sarebbe rimasta per l'eternità l'anima più sfigata dell'universo in assoluto, l'unica anima che fosse stata capace di annegare contro ogni legge delle anime, non possedendo più il numero critico di particelle al di sopra del quale una anima può considerarsi tale e dunque immortale.
Con la forza della disperazione scavava con le unghie e coi denti, con le mani, i piedi ed ogni particella ancora agibile nel guscio del granello cercando un appiglio, mentre chiudeva gli occhi aspettando il tuffo che l'avrebbe definitivamente disintegrato; indipendentemente dall'esito disastroso, dai pettegolezzi dei saputoni della 27-esima, per un verso la missione poteva dirsi conclusa con un risultato infinitesimo all'attivo: da anima aveva appreso una cosa che per i mortali dovrebbe essere ovvia anche se loro sono troppo confusi per rendersene conto, ma a cui le anime troppo squadrate e perfette proprio non ci arrivano: in ogni caso vale la pena tentare anche quando le possibilità di riuscita sono nulle perché il significato delle esperienze prescinde dal fine e dalla fine, è un valore intrinseco, indipendente dal prima e dal dopo.
Si sentì mancare, poi sollevare di peso, e un'altra ventata gli assestò uno sganascione che lo spedì, insieme al suo granello, dritto a incollarsi contro una parete rocciosa che si stagliava sul mare.
Dovette picchiare la testa di brutto perché perse i sensi senza avere nemmeno il tempo di capire se era finita per davvero, né cosa avrebbero detto i saputoni del piano 27.
Ebbe confusamente una ultima visione sfumata: gli sembrò che alla tempesta fosse succeduta una grande quiete, come se si trovasse al riparo in una sorta di grotta umida, adagiato su un letto di terriccio insieme a quel granello che ormai sentiva come parte di sé o forse era lui ad essere diventato parte del granello, o entrambe le cose: un'altra trinità.
6
Basta staccare la batteria e il tempo non esiste più: è del tutto indifferente se fino al prossimo reinserimento ci sia di mezzo un picociclo di clock o l'eternità.
Perciò quando il mondo era bambino e i filosofi greci filosofavano come ora sotto il gazebo dei bar, si spiegava ai pargoli che il sonno e la morte sono fratelli, e li piazzarono ben alti nel cielo nelle notti di febbraio: Castore e Polluce, i Gemelli.
Quando reinserirono la batteria ebbe un inizio di ripresa di conoscenza, ma, come si diceva, non avrebbe mai potuto dire dopo quanto tempo.
Non solo non aveva la più pallida idea di dove si trovasse ma nemmeno di chi lui fosse.
staccò ancora la batteria tranquillizzato: chiunque fosse stato, comunque c'era. E andava bene così.
Quando ritornò ancora in sé vi ci rimase un po' più a lungo: assodato che c'era, valeva la pena di capire chi era, e pure dov'era, ma questo sarebbe venuto dopo: una cosa alla volta.
Ci rinunciò quasi subito ma prima di ristaccare la batteria e ritornarsene dove non era, concluse che di particelle doveva averne ancora abbastanza, anzi gli erano sembrate perfino troppe, e pure pesanti un accidente, il nuovo alter ego, il granello, aveva pure lui preso una brutta botta: il guscio presentava buchi, ammaccature, spaccature, da cui fuoriusciva l'interno gonfio.
Ad un certo punto gli era perfino sembrato che fosse lui invece a trovarsi dentro quella roba gelatinosa che spuntava dagli squarci del povero alter ego-granello ed era forse questa roba che inglobandolo lo opprimeva.
tentò pure di Aprire gli occhi ma nonne vollero sapere di mostrare altro da una penombra indistinta.
Sparì di nuovo portandosi dietro la batteria, ed anche un certo odore di terra bagnata.
Quando riemerse un'altra volta la resurrezione fu più cosciente e di conseguenza più angosciosa: si era oramai installato nel granello e attraverso gli squarci del guscio in disfacimento cercava di stravaccare più comodamente le membra intorpidite.
Si sentiva cresciuto, pesante, aveva un angoscioso bisogno di spazio, perché in quella grotta, o bara, pieno di terriccio, gli mancava l'aria, gli mancava lo spazio, gli mancava la luce, roba da rimpiangere amaramente l'immensità e la leggerezza della 27-esima Dimensione.
E oltre tutto c'era pure la fregatura che ci si annoiava a vita come quelli della 27 si annoiano a morte.
E se il dettaglio che il tutor non aveva voluto spiegare fosse stato che la missione consisteva nel passare in quel buco schifoso il resto dell'eternità? A questo pensiero non morì solo perché, anche volendo, le anime non muoiono, non possono: ogni creatura ha le sue fregature.
Tuttavia risvenne immediatamente.
La batteria fu riattaccata da un fragore di tempesta che lo fece sobbalzare.
Avrebbe voluto saltare dal letto ma si sentì tirare, come trattenuto. I piedi si erano conficcati profondamente nella terra, vi si erano saldati; i peli delle gambe erano diventati enormi e conficcavano le loro punte nel terreno, ramificando per fissarsi sempre più profondamente e saldamente.
Stette in ascolto e quel putiferio doveva essere proprio vicino, il mare era di sotto e lo si sentiva distintamente schiaffeggiare le rocce, oltre al rumore si sentiva anche la vibrazione dei ceffoni. padella o brace? - Nel dubbio scomparve ancora. Finché in un altro tempo zero, oltre al mare che si sentiva sempre distintamente vicino, gli parve di vedere un bagliore in fondo al tunnel.
Allungò il collo più che poté e, incredibile ma vero, riuscì quasi a cacciar fuori la testa da quel buco maledetto che svenne di nuovo, stavolta per la contentezza.
Tuttavia, mentre lui si esibiva nel melodramma, nel ruolo della Vergine, eterna turista, che fa la spola tra il regno dei vivi e quello dei morti, come spesso succede in questi casi, qualcun altro stava travagliando anche per lui, nel caso di specie i resti del povero seme, cosicché al prossimo risveglio si ritrovò il collo cresciuto, come anche tutto il resto, e, viva dio, poté affacciarsi, ed ebbe di che rinfrescarsi l'anima con la rugiada del mattino.
A una cinquantina di metri più un basso il mare, leggermente increspato, a perdita d'occhio, gli spruzzi della risacca contro gli scogli situati ai piedi della nuda parete rocciosa da una piccola crepa della quale lui stava sporgendo il germoglio curioso.
Di fronte il cielo di aprile, nuvolette bianche che cedevano il passo al sole e quel celeste intenso, per ogni dove.
A qualche metro più sopra doveva forse esserci una stradina, se ne intravvedeva il parapetto.
Data la posizione, non poteva vedere cosa ci fosse da quel lato al di là della stradina ma, a giudicare dai numerosi profumi di erbe e fiori che arrivavano ai suoi stomi, il luogo doveva essere abitato da numerosi esemplari della sua specie e di specie affini, tant'è che gli parve di udire perfino un pericoloso tintinnare di campanelli, di quelli che i pastori sogliono appendere al collo degli erbivori.
La roccia da cui sporgeva era di quelle che fanno la gioia dei rocciatori, degli amanti delle ferrate, roba dura se non impossibile anche per le capre più scalatrici.
Le capre poi non sono affatto così stupide da rischiare seriamente di rompersi le corna in qualche brutto capitombolo per andare a brucare un miserabile filo d'erba di qualche centimetro.
Sì perché su quella parete quasi verticale solo una anima particolarmente disgraziata o rincoglionita avrebbe potuto concepire di impiantarsi: dunque gli toccava vita monastica in Stile Monte Athos, e per giunta in perfetta solitudine.
In compenso poteva consolarsi con una visione dell'immensità molto più vivace e colorata di quelle né carne né pesce, della Dimensione 27.
Dopo tutta quell'umidità il sole era una goduria, finalmente lo asciugava e le sue particelle si muovevano più leggere, scorrevano meglio attraverso quella carcassa reticolare che gli avevano imbastita, e a poco a poco si appisolò, ma stavolta era nelle mani di Castore.
A differenza di suo fratello Polluce che ha il pallino dei Rolex a batteria, Castore va particolarmente orgoglioso del suo orologio manuale: certo bisogna dargli corda, - dice - però, una volta avviata, non c'è chi possa staccare la spina del tempo, e da ciò dipende la possibilità di sognare.
E infatti sognò che qualche altro idiota alla Dimensione 27 si fosse armato di cannocchiale all'ectoplasma e lo stesse osservando ed anche con invidia, al punto da recarsi in segreteria ad iscriversi al prossimo corso di defenestrazione dimensionale.
E in sogno gli parve pure di sentire il tutor spiegare che il tutto si gioca tra l'osservatore e l'orizzonte degli eventi e ogni possibile intersezione tra l'essenza e l'apparenza, il fenomeno e le sue manifestazioni, quella superficie di contatto chiamata la realtà dipende dall'angolo visuale e dalla distanza tra questi due attori.
Aveva poi fatto portare loro l'indice in alto davanti al Naso, e glielo aveva fatto osservare prima con un occhio, poi con l'altro, per mostrare come esso risultasse mosso in una altra posizione, rispetto allo sfondo. Aveva loro fatto ripetere l'Operazione col braccio teso in avanti per mostrare come ora il movimento del dito rispetto allo sfondo apparisse molto minore e infine aveva loro chiesto di fissare ancora prima con un occhio e poi con l'altro un punto lontano, per vedere come il movimento non si verificasse affatto.
Solo dei terricoli piuttosto sempliciotti potevano pretendere di misurare dimensioni e distanze sulla base di questi movimenti illusori, che chiamavano parallasse.
Non capivano che il "principio di indeterminazione", che pure avevano messo tra i fondamenti della loro meccanica quantistica, secondo cui non è possibile nello stesso momento conoscere dove si collochi e con che energia proceda una particella, in realtà vale, anche a livello macrocosmico per quelle schegge vaganti di esistenza chiamati individui: non capivano cioè che la fatica di esistere consisteva nella dissipazione di energia per trasformare la potenza in atto, l'essere nelle sue manifestazioni, la cui percezione, o coscienza, rientrava però per definizione nel dominio dell'incertezza probabilistica, rendendole ad un tempo reali e illusorie, vere e false insieme.
D conseguenza, - aveva aggiunto - se ci sono cose che sembrano reali sia dalla prospettiva delle anime che da quella dei terricoli, ciò dipende solo dal fatto che tali cose non stanno né in cielo né in terra.
E doveva essere questo il suo caso, proteso com'era appunto tra cielo e terra, a spasimare di mettere nel secchiello tutto il mare e quell'azzurro infinito che sfumava nel verdino sugli scogli ed al tempo stesso dannarsi per le catene di radici che lo inchiodavano alla roccia come il titano punito per aver donato il fuoco ai mortali.
7
La Sindrome di Stoccolma si era ormai impadronita di lui: si era affezionato al suo carceriere, si identificava con lui.
Sentiva sue quelle radici che lo incatenavano alla roccia, suo quel tronco che sporgeva dal crepaccio contorcendosi alla Ricerca disperata della luce, suoi quei rami protesi come braccia imploranti, sue quelle foglie che spuntavano srotolandosi dalle ascelle, sua quella inutile fatica di drenare l'acqua trattenuta nella roccia per ridarle la libertà, sua la voglia di crescere rigoglioso, come se questa fosse la sua missione, o condanna.
In effetti era una tortura quella vita quasi orizzontale, ma soprattutto quella ginnastica di arcuare all'indietro schiena e braccia per protendere verso l'alto le foglie se non voleva restare soffocato.
Certo ci sarebbe stata una fine, ma fino a che fosse arrivata, in quella scomoda posizione da contorsionista semistrozzato, ci sarebbero volute almeno un centinaio delle eternità della 27-esima Dimensione.
Per fortuna la Sindrome di Stoccolma distoglieva lo sguardo dal suo orologio mostrandogli quello del carceriere, e, per l'enfasi che si crea in questi casi, cominciò ad abituarsi a quella posizione, che gli sembrò via via più sopportabile, poi comoda, infine stupenda, almeno dal punto di Vista del panorama.
Il suo fusto e i rami si spingevano sempre più in alto man mano che crescevano e si rinforzavano, e questo ampliava di molto l'orizzonte.
Dal lato del mare la cosa non presentava grandissimo interesse: il semicerchio visibile si era solo ingrandito ma la Musica e il traffico di onde rimanevano gli stessi: acqua e cielo si incontravano solo più lontano.
Ora però poteva vedere oltre il parapetto, che prima glielo impediva, e gli schiudeva letteralmente un altro mondo, molto più simile a lui, più vegetale.
Forse, oltre quello sperone roccioso che chiudeva l'orizzonte nordovest, doveva esserci una spiaggia o un borgo perché la stradina, di cui non si scorgeva l'inizio, sembrava provenire da laggiù e si inerpicava a tornanti sulla collina tra prati e macchia, boschetti, terrazze, vigneti, olivi contorti, cespugli, per finire chi sa dove. E forse doveva essere la cuspide di un campanile quel puntino appena più in alto dell'orizzonte. I colleghi sembrava se la passassero da dio, anche se dovevano avere anch'essi i loro mal di schiena a giudicare dai nodi, dalle cicatrici, dalle contorsioni dei vecchi ulivi che avevano sfidato il tempo e pure la gravità. E non può essere diversamente se hai la sfiga di nascere su un pendio scosceso, ma ci sarà sempre qualche nulla in cerca di autore alla Dimensione 27 a dire che è una fortuna. La tragicommedia di questa avventura è che ti trovi nello stesso presente a desiderare contemporaneamente la quiete e il movimento, la vita e la morte: insomma una fregatura dipolare, l'uno che si divide in due,un un io dimezzato che vive la sua metà agognando o mimando l'altra. Ebbe alquanto poco tempo per compiacersi di queste nuove acquisizioni teoriche poiché arrivavano dal mare certe folate di libeccio che, impattando sulla roccia dove abitava, tumultuavano verso l'alto con tutta la buona intenzione di spezzargli le reni e lasciarlo penzolare a testa in giù come un salame. E mentre il vento gli appoggiava il ginocchio sul petto, la pioggia lo sferzava e dopo un po' un torrente di acqua e terriccio inondò il crepaccio, trascinando pietruzze,spezzando radici.
Lui che aveva desiderato coscientemente di bere con gli occhi il mare infinito, stava bellamente per finire il quel calderone inferocito e incosciente che lo avrebbe ingoiato senza neanche accorgersene.
Cercò disperatamente un qualche dio per aggrapparsi ma non ne trovò il quel buio pesto. Ma poi il vento cessò, e la sferza pure e, dopo un po' anche il torrente limaccioso si quietò. Ed era ancora miracolosamente là, semispiantato e malconcio, in bilico tra cielo e terra, più precisamente cielo e mare, e dopo un tempo infinito ritornò ancora il sole.
Donato Taddei