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La scogliera degli angeli e la musica del mare (Racconto)

Pubblicato il 29/07/2020 07:00 
 

"Signorina, ho finito... posso andare?" Carla osservò Francesco incuriosita. Gli lesse nel volto l'impazienza e l'imbarazzo. Conosceva bene il ragazzino, sapeva che non aveva bisogno delle sue ripetizioni, poiché era intelligente ed a Scuola se la cavava benissimo. Era stata lei ad offrirsi di seguirlo, poiché molto legata alla famiglia di Francesco: lui avrebbe accompagnato la sorella, che invece era un vero disastro.

"Abbiamo fretta oggi... eh? Va bene, vai pure, ma ricordati il berretto; non vorrei rivederti apparire col cappellino di paglia in pieno inverno." Tutti i ragazzi risero, mentre Francesco arrossiva. Carla gli si avvicinò e gli accarezzò il capo. I berretti erano la mania di Francesco. Non sarebbe uscito senza qualcosa in testa, ma una volta dopo aver dimenticato l'intera serie in casa della signorina Carla, così la chiamava, aveva indossato un cappello di paglia da spiaggia, provocando l'ilarità generale.

Francesco uscì di corsa. Giunto a casa, salutò appena la madre, posò i libri, e un attimo dopo era di nuovo fuori e si stava avviando verso la capanna che aveva costruito con gli amici, ai margini della scogliera. Era la capanna più bella che avessero mai fatto. Tutta di palme, con il tetto rivestito di una tela incatramata, che riparava dalla pioggia.

Aprì la porta, e dopo aver scollegato la lenza che avrebbe provocato la caduta di un secchio d'acqua, destinato ad eventuali intrusi, verificò che tutto fosse in ordine. Poi arrivò Andreino, un ragazzino della sua età, che gli propose di fare un giro per la scogliera in cerca di nuove grotte. Ma lui rifiutò. Quel giorno aveva altri progetti e dopo aver salutato Andreino, si avviò un po' emozionato verso l'abitazione del suo nuovo amico Enzo. Era stata l'attesa di quell'incontro che gli aveva fatto sbrigare i compiti in fretta, curioso di scoprire tutte le meraviglie che gli erano state descritte. Enzo era il figlio di un amico di suo padre, appena trasferito a Genova. Lo aveva conosciuto qualche sera prima, quando con i genitori era venuto a casa sua. Era una famiglia simpatica ed inoltre Francesco era rimasto incantato nel vedere la moto del padre di Enzo, una bellissima Guzzi provvista di side-car. Da quel momento aveva sperato che un giorno o l'altro, avrebbe provato l'emozione di un giro su quello strano mezzo. In quegli anni '50, non era certo una cosa comune possedere un mezzo proprio che non fosse una bicicletta. Naturalmente vi erano automobili e motociclette, ma erano cose per gente ricca.

Francesco suonò il campanello. La porta si aprì e il volto di Enzo si illuminò.

"Ciao, vieni avanti, ti stavo aspettando".

Il ragazzino entrò. Si guardò intorno, ma non vide nessuno né udì alcun rumore. Un po' stupito domandò:

"Sei solo?"

"I miei genitori sono al Lavoro, ma c'è mia cugina con il fidanzato." E notando l'espressione di Francesco aggiunse: "Sta tranquillo, quelli sono in salotto, non ci disturberanno."

Enzo guidò l'amico in una stanza, che a quanto pareva era adibita allo svago.

"Vedi? Questo è il calcio bar di cui ti ho parlato, ti insegnerò a giocare. Ti piace il mio trenino Elettrico? Quella è l'armatura da guerriero romano."

Francesco non credeva ai suoi occhi. Era così sbalordito che non riusciva ad emettere nessun Suono. Infine riuscì a farfugliare:

"Ma... è tutta roba tua?"

L'amico sorrise con orgoglio e disse:

"Vuoi provare l'armatura?"

Aiutato da Enzo, Francesco si infilò l'elmo e la corazza, infine brandì la spada. Era così immerso nella parte, che non fece neppure caso al fatto che il tutto gli stava decisamente grande, data la struttura più solida e più alta di Enzo. Francesco si domandò che faccia avrebbero fatto i ragazzi del quartiere, con i quali soleva duellare nei prati circostanti,armati di spade di legno da loro stessi costruite, se si fosse presentato in quel modo. Decise che non sarebbe stata un'idea intelligente, poiché mossi dall'invidia, lo avrebbero attaccato tutti insieme.

Dopo essersi pavoneggiato un po' davanti ad uno specchio, si tolse l'armatura, non senza un certo rincrescimento. Quindi accettò l'offerta dell'amico, che gli proponeva una partita col calcio bar. Dopo aver capito il meccanismo del gioco, Francesco riuscì a vincere un paio di partite. Quindi le rivincite si susseguirono per lungo tempo, finché non apparvero nella stanza la cugina ed il fidanzato. Enzo presentò l'amico, ma i due innamorati non sembravano interessarsi che a loro stessi e quasi subito l'Uomo se ne andò, mentre la ragazza si appartò in Cucina.

In tono malizioso Enzo domandò:

"Hai visto che facce strane che hanno?"

"Non... saprei. Perché strane?"

"Beh... dopo aver fatto certe cose... Sai li ho spiati dal buco della serratura, qualche volta."

"E... che cosa facevano?"

"Non sai cosa fanno gli amanti?"

"Beh... si baciano... e..."

"Ho capito, non sai niente tu. Ti insegnerò io."

"Beh... ora è tardi devo andare."

"Ci vediamo domani? Giocheremo col trenino e con i soldatini, se vuoi."

"D'accordo. Verrò dopo i compiti."

Francesco se ne andò. Giunto a casa, raccontò alla madre di tutte le meraviglie che aveva visto. Poi andò in dispensa ed osservò con un po' di amarezza i suoi giocattoli, qualche macchinina ed una vecchia pistola a capsule. Ma c'era qualcosa che non invidiava ad Enzo. I suoi genitori lo riempivano di giochi favolosi, ma non lo lasciavano uscire in strada da solo. Francesco ,invece godeva della più ampia libertà e per nulla al mondo avrebbe rinunciato alle corse rompicollo sulla scogliera, alle guerre con le cerbottane, alle scorribande nelle ville vicine così ricche di frutta o ai salti con la corda che, soprattutto nelle serate estive, coinvolgevano grandi e ragazzi di ogni età. Che dire poi delle gite in barca con i suoi amici? E delle interminabili partite con le biglie, sulle piste tracciate sulla sabbia con tanta fantasia?

Dopo cena Francesco uscì di nuovo. Gli amici lo aspettavano nella capanna, dove si radunavano per quelle che loro definivano riunioni. In realtà era una scusa per restare insieme, magari scambiarsi le figurine, decidere qualche dichiarazione di Guerra ad altre bande di ragazzi dei quartieri vicini. Si erano organizzati in banda, avevano eletto un capo ed altri gradi intermedi. Naturalmente i capi erano i più grandi. Quella sera decisero di mettersi in contatto con i ragazzi della Rotonda per una partita al pallone. Poi uscirono e si divisero in gruppetti. Francesco notò che i più grandi si avvicinavano alle ragazzine e cercavano di appartarsi con qualche scusa. La cosa era normale, ma lui non se ne era mai occupato, preferiva i giochi dei maschi. Tuttavia gli vennero in mente le parole di Enzo: "Non sai cosa fanno gli amanti?" Ma lui voleva saperlo?

In quel momento la madre lo chiamò. Probabilmente il padre era arrivato e questo significava che bisognava rientrare a casa. Raccontò al padre le emozioni di quel pomeriggio, mentre la sorella ripassava la lezione. Infine i due fratelli, si misero a giocare a dama. D'improvviso Francesco domandò alla sorella sottovoce:

"L'altro giorno ti ho vista con Bruno andare verso la scogliera. cosa andavi a fare?"

La sorella lo guardò stupita e sibilò:

"Zitto. Cosa ti viene in mente? Perché non pensi alla tua Michela?"

"E cosa dovrei pensare?"

"Sai benissimo che ti ronza sempre intorno, ma tu...Forse neanche te ne accorgi eh?"

Francesco aveva sperato che la sorella, più grande di lui di tre anni, gli avrebbe rivelato qualcosa che non sapeva, invece lo aveva ancor più confuso. Decise di lasciare perdere per quella sera e finita la partita, andò a letto. Ma prima di addormentarsi, non poté fare ameno di pensare all'insinuazione della sorella. Michela era una ragazzina carina, e lo ascoltava con interesse quando, con enfasi, gli raccontava le sue avventure, ma... Infine si addormentò.

L'indomani la signorina Carla osservò Francesco, incuriosita dallo sguardo insolitamente pensieroso del ragazzo. Gli si avvicinò e gettò un'occhiata al quaderno su cui stava scrivendo.

"Bravo, va bene così."

Ma Francesco non sembrava aver Udito e continuava a fissare il quaderno.

"Oggi non hai fretta di andare a giocare?" chiese Carla.

"Sì, ora vado."

Più tardi Francesco, seduto nella Capanna tanto amata, non era certo di voler incontrarsi con Enzo. Uno strano presentimento lo invadeva, ma infine l'idea di poter giocare con quel trenino e tutti quei soldatini che aveva visto il giorno prima, ebbe il sopravvento. Quando Enzo gli aprì, subito gli domandò:

"Sei solo?"

"Beh... a parte i fidanzatini, sì."

Entrarono nella stanza dei giochi e subito si avvicinarono al grande tavolo su cui rotaie, stazioni, gallerie e passaggi al livello, sembravano ansiosi di animarsi. Dopo un po', se qualcuno avesse chiesto a Francesco cosa gli sarebbe piaciuto fare da grande, probabilmente avrebbe risposto il capostazione o il macchinista. Ma ad un tratto Enzo lo prese per un braccio e lo guidò nel corridoio sussurrandogli all'Orecchio:

"Fai piano, ora ti faccio vedere cosa fanno i fidanzati."

Con una strana sensazione di ansia mista a curiosità,Francesco si lasciò guidare davanti ad una porta. Enzo si accucciò e avvicinò l'Occhio al buco della serratura. Poi fece cenno all'amico di imitarlo. In realtà non si vedeva un granché; Francesco intravide due paia di gambe nude intrecciate che si agitavano, e udiva uno strano ansimare e qualche gridolino misto a parole indistinte. Stranamente la scena lo attraeva, forse il fascino del proibito lo teneva incollato a quel buco. Finalmente si riscosse e si allontanò.

Tornati nella stanza dei giochi, si sedettero su due cuscini ed Enzo iniziò la sua lezione sul Sesso. Francesco si domandava come quel ragazzino, sempre in casa, avesse imparato tutte quelle cose, ma la spiegazione sarebbe arrivata presto. Continuarono a parlare come se quelle meraviglie che li circondavano fossero d'improvviso divenute inutili. Quando uscì, Francesco comprese che qualcosa di importante era avvenuto in lui. Ora le frasi velate dei grandi, le risatine complici, le espressioni colpevoli, avrebbero avuto un senso.

La sera, dopo la solita riunione con la banda, Francesco si avvicinò alla casa di Michela, la ragazzina sempre sorridente, che seduta sull'uscio teneva in grembo una piccola fisarmonica. Si sedette accanto a lei e meravigliato domandò:

"Sai suonarla?"

"Sto imparando, mi insegna mio padre."

"Fai provare anche a me?"

Michela porse lo strumento a Francesco, che se lo infilò alle spalle. Poi dopo averlo esaminato con interesse, accennò sulla Tastiera una canzoncina in voga. Michela sorrise ammirata:

"Sai suonare anche tu?"

"Sì, ma non conosco i bassi; io strimpello il pianoforte."

"Ti insegnerò io, se vuoi."

"Sì grazie, ma ora mi suoni qualcosa tu?"

Questa volta fu lui a meravigliarsi; le piccole mani scorrevano i tasti con un tocco sicuro e lieve allo stesso tempo, mentre gli occhi di lei si socchiudevano in un'espressione sognante. In breve un gruppo di ragazzi si avvicinò per Ascoltare e l'atmosfera quasi intima si ruppe, trasformandosi in gazzarra. Infastidito, Francesco salutò Michela e si allontanò. Tornato a casa, si appartò con il nonno, che senza farsi pregare troppo, raccontò per la centesima volta le avventure della Guerra, che ogni volta si arricchivano di particolari sempre più emozionanti. Francesco ascoltava sempre avidamente quei racconti, ma quella sera sentiva di doversi aggrappare a qualcosa di se stesso, che si allontanava. Un nuovo mondo gli si stava aprendo nella giovane mente, spazi inesplorati che la mano del suo nuovo amico aveva iniziato a modellare.

Il giorno dopo si svolse la partita di pallone programmata con i ragazzi della rotonda, durante la quale Francesco compì un vero prodigio, conducendo la sua squadra alla vittoria. Ne fu talmente entusiasta, che trascorse il resto della giornata, in scorribande per il quartiere. Quel giorno non pensò né ai giochi di Enzo, né alle sue rivelazioni. Solo alla sera, sentì il desiderio di incontrarsi con Michela. La trovò seduta sul muricciolo che delimitava uno spiazzo a picco sulla spiaggia. Stava osservando dei gattini appena nati, che sotto la Tutela di mamma gatta, gironzolavano intorno alla casetta di mattoni, costruita dai ragazzi del quartiere, proprio per loro.

"Ti piacciono i micini?"

"Si moltissimo, sembrano batuffoli. Me ne prendi uno? Ho paura che la gatta..."

Francesco si avvicinò cauto, cercando di non spaventarli e riuscì a prenderne uno, sotto lo sguardo attento della madre. Michela allora si avvicinò e accarezzò il gattino che lui gli porgeva. Erano così vicini, che i loro corpi si sfioravano. I loro volti sorridevano, le loro mani involontariamente si cercavano. Rimasero così a lungo, come estasiati, finché la voce della madre di Michela non li raggiunse.

"Devo andare, ci vediamo domani?"

"Sì certo, mi piace stare con te."

"Porterò la fisarmonica, così ti insegnerò i bassi."

"Benissimo, ma bisognerà trovare un posto tranquillo."

"So dove andare, vedrai."

Mentre si avviava verso casa, Francesco pensava già alla sera dopo; come avrebbe potuto esprimere i suoi sentimenti? Che cosa avrebbe fatto?

L'indomani, a casa di Enzo, Francesco trovò una sorpresa. La solita cugina non c'era, ma era stata sostituita da un'altra parente, una ragazzina di due o tre anni più vecchia di Enzo che prese in mano la situazione e condusse i due amici in salotto.

"Dunque tu sei Francesco, eh? Enzo mi ha parlato di te. Dice che sei intelligente, ma un po' ingenuo."

Francesco arrossì, ma Enzo incalzò subito:

"Ora Grazia ci farà giocare ai fidanzati, non È vero?"

Grazia si avvicinò a Francesco e senza il minimo imbarazzo si sollevò la gonna.

"Non hai mai visto come sono fatte le Donne?"

Ridendo del rossore di Francesco, si sfilò le mutandine. Poi si sedette accanto a lui prendendogli una mano e posandogliela tra le gambe.

"Ora togliti i calzoncini", ordinò Grazia. Ma poiché il ragazzino sembrava impietrito, fu lei a compiere il fatto. Francesco sentì le mani di grazia che lo accarezzavano e lentamente si calmò. Poi lei lo attrasse su di sé. Il contatto con quel corpo nudo, non poteva scatenare passioni incontrollate agli organi immaturi di Francesco, ma la sensazione di calore e stimolo che provò fu intensa ed avrebbe voluto non finisse mai.

"Ora tocca a me", disse Enzo.

Naturalmente Enzo era più esperto e Francesco osservava la scena come ipnotizzato.

"Vuoi rifarlo?"

"Sì..." sussurrò Francesco.

Mentre si avviava verso casa, Francesco sapeva che non avrebbe mai più dimenticato quel pomeriggio. Ora si sentiva un Uomo, ma un senso di colpa e di vergogna lo pervase quando gli occhi della madre si posarono su di lui, come vi si potesse Leggere l'accaduto.

La sera incontrò Michela come deciso. Aveva portato la fisarmonica e lo condusse dietro un riparo a portata di voce della madre.

"Questa sera voglio che suoni per me, se non ti spiace. È una giornata... Speciale."

"Speciale perché?"

"Ho deciso di chiederti se vuoi essere la mia fidanzata."

Michela lo guardò con uno strano bagliore negli occhi, infine sussurrò:

"Sì, se mi vuoi bene."

Francesco guardò le onde infrangersi sugli scogli a pochi metri da loro. Poi girò lo sguardo intorno, come volesse imprimersi nella mente un mondo che non avrebbe mai voluto dimenticare. Infine fissando negli occhi Michela, non disse nulla, ma gli accarezzò il viso con dolcezza. Le dita di Michela si mossero sulla Tastiera e un Suono che a Francesco parve angelico, si sovrappose al pulsare del mare.