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Il Funerale - Da “Un Cieco che Vede” del prof. Antonio Greco

Pubblicato il 15/09/2021 08:00 
 

Non ho la forza di descrivere i particolari. So che faceva un gran caldo, e noi familiari, che per nove giorni eravamo stati buttati, senza interruzione, fuori dalle mura dell'ospedale, eravamo agli stremi delle forze.

Si fecero tutti i preparativi: ventitrè giovani, suoi amici, reggevano un ramo di palma ciascuno, con la sola differenza che il ramo dell'ultimo era spezzato: rappresentavano i suoi ventidue anni interi e il ventitreesimo troncato. Ci fu tanta partecipazione di gente che mai a Castrignano, in un funerale, si era Vista. Mi fu detto che molti piangevano in silenzio, altri erano commossi. Fu una partecipazione spontanea e affettuosa.

Io, che avrei gradito passare le ultime ore di contatto terreno col corpo di Paolo, in un intimo raccoglimento di riflessione, fui costretto a ricevere per più di due ore, le condoglianze di tante persone che mestamente e con profonda devozione gli davano l'estremo saluto. Tante persone conoscevo, ma tante altre non avevo mai incontrato. Anche questa fu una consolazione, sebbene, scarna consolazione!

Da noi si usa che amici e conoscenti accompagnano il feretro fino al cimitero, e poi, in fila indiana, porgono le condoglianze ai familiari. Mi fu detto che c'era una marea di seguito che ci aveva voluto onorare con la sua presenza. Io ero affranto e distrutto. Non me la sentivo di resistere ancora a quel supplizio, e dissi ad alta Voce che li ringraziavo tutti come se non solo una volta, ma più volte avessero manifestato questi segni di amicizia e di affetto. I vicini mi risposero con un applauso, seguito dai più lontani che avevano intuito bene il mio ringraziamento.

Tornammo a casa, sorretti e confortati dal dottore Antonio Basurto e dalla sua ragazza, che poi è diventata moglie, Annarosa Buffo. Sono due creature squisite, buone, sensibili, premurose, umane, altruiste, dolci, affettuose e tanto care. Ci avevano sorretti durante il nostro calvario fuori le mura dell'ospedale, sotto il cocente sole di agosto.

Altri amici e parenti si trattennero ancora con noi, ma a sera tarda rimanemmo io, Teresa e Clelia, smarrita e traumatizzata dall'episodio. Io cercai di sollevare Teresa, dicendole che per noi poteva anche finire, ma dovevamo sforzarci di superare questa grave sciagura per Clelia che era giovane, e che aveva tutto il Diritto di vivere. Però io, rimasto tra me e me, mi chiedevo, perché doveva succedere tutto ciò! Perché, se è vero che c'è un Dio che vigila, che punisce e che consola, perché permette queste tragedie su persone che nella vita non fanno male a nessuno e preserva, invece, da disgrazie delinquenti, pregiudicati e malavitosi? Mi si dice che noi non possiamo conoscere la volontà di Dio, perché se Dio ha fatto ciò, lo avrà fatto per preservarci da sciagure e dispiaceri ben più gravi. Ma si dice ciò senza una Dimostrazione. Chi mi garantisce che sia la verità? Mi si dice: "i buoni saranno premiati in cielo". Ma anche qui: siamo certi che l'anima gode anche di una vita ultraterrena? Fatto certo è che io non potrò mai più riabbracciare il mio Paolo. E' vero che è tendenza naturale dello spirito Umano darsi una credenza dell'immortalità dell'anima, dell'esistenza di Dio e del mondo, ma è anche vero che qui si affacciano le antinomie kantiane, che io trovo tanto vicine al mio pensiero. Conosco persone che, dopo aver perduto cari defunti, dicono di aver trovato la pace, la serenità nella fede, convinte che il loro defunto goda tutte le gioie della vita ultraterrena e conducono una vita serena, normale, come se nulla fosse successo. Io non riesco a convincermi: trova la mia ragione enormi contraddizioni a cui non riesco a dare una spiegazione possibile. Vorrei tanto riuscirci, ma per ora, nessuno spiraglio.

Io credo nell'esistenza di Dio, almeno come artefice, come causa della natura tutta e del mondo.

La Scienza si può dire che oggi fa miracoli; però è anni luce distante dai miracoli che istante per istante compie la natura. La stessa vita è un susseguirsi di miracoli: se pensiamo alle cose che nascono, crescono istante per istante e poi muoiono, dobbiamo davvero gridare al miracolo.

Io non condivido questa o quella religione, perché mi dànno la sensazione di religioni di parte. E poi, se Dio è uno solo, non può differire nelle leggi da un popolo all'altro. Verità inconfutabile è che tanti delinquenti piccoli e grandi subiscono gravissimi incidenti automobilistici e ne escono quasi incolumi; altri, invece, scivolano sull'uscio di casa e muoiono; come si spiega questa differente conseguenza?

La vita è tutta un mistero, e nessuno riuscirà mai a penetrarla per intero. "Accetto la metafisica come fede; mai come Scienza" troneggiava Immanuel Kant. Ed è proprio così.

Avevo Formato una famigliola così simpatica, così corretta, educata, rispettosa dei principi morali e sociali e della vita. Col mio Lavoro e con la saggia amministrazione di Teresa, avevo raggiunto una dignitosa posizione Sociale. Tutto sembrava sorridermi. Ad un tratto la scure crudele del destino tronca il giovane ramo dell'esistenza di una delle "foglie del cuore", e precipito nella disperazione, nello sconforto, nello scetticismo della vita.

Ci volle tempo prima che cominciassi a riprendermi e a passare dalla disperazione alla rassegnazione. Mi davo coraggio, pensando che ero ancora insostituibile per il futuro dell'altra "foglia del cuore": Clelia, così dolce, così cara, così affettuosa.


I capitoli tratti dall'autobiografia "Un Cieco Che Vede" del prof. Antonio Greco, vengono pubblicati con l'autorizzazione dell'autore. Per contattare il prof. Antonio Greco e per informazioni sull'opera completa si può scrivere a griconio@gmail.com