In Viaggio Verso Santiago (Racconto)
Maurizio Luminoso Aggiornato il 09/05/2009 08:0021 giugno
Sto facendo una cosa che non avrei mai pensato di fare. Sono sul treno ed in questo momento sto sfrecciando attraverso la Provenza. Dai finestrini vedo una surreale distesa di lavanda fiorita, che, sin dove il mio sguardo si spinge, colora di viola il paesaggio a perdita d'Occhio.
Ma che ci faccio qui ? In verità, non lo so.
So soltanto che sette giorni fa ho seppellito mio padre. La sua morte ha inceppato gli ingranaggi della mia ordinata vita, Spesa sempre tra università e Studio, Studio ed università: nient'altro. Forse ora mi rendo conto di come fosse in realtà insulsa la mia vita, ma era la migliore che avevo, costruita su mia misura sin da piccolo, da quando orfano di mia madre, da quando negatimi quegli affetti che ai miei coetanei erano normali, avevo utilizzato ogni mio anelito vitale per cercare di andare ad ogni costo avanti, sempre avanti, nonostante tutto, come mi esortava allora mio padre.
Forse ho preso troppo alla lettera le sue parole. Andare avanti, non guardare cioè all'indietro, alla fine non è significato soltanto dimenticare la morte di mia madre, ma anche un'ambizione senza limiti, che mi ha portato ad emergere, a laurearmi subito e con ottimi voti, a vincere il concorso per cui ora sono titolare della Cattedra di Diritto delle Comunicazioni in una famosa Università di Roma, ad essere socio di uno dei più prestigiosi studi legali della capitale: per me il Lavoro e l'impegno sono sempre stati la religione della mia vita, al punto che non saprei vivervi senza.
Comprendo solo ora come avessi costruito un'inutile utopia per superare la morte di mia madre, un'utopia che si è infranta con la morte di mio padre, costringendomi la Vita a dover infine affrontare la Morte, i conti mai chiusi del mio passato … E per pareggiare tali conti, mi sono preso una pausa sabbatica, mi sono chiuso da solo diversi giorni in casa, senza trovare nulla che fosse di Ausilio, di lenimento al mio immenso dolore.
Morire, perché morire, perché devo rassegnarmi a veder perdere i miei cari ? Neppure la religione mi ha aiutato a rispondere a questa tremenda domanda, poiché ho perso la fede sin da quando è morta mia madre: non riuscivo infatti a capire perché un Dio sommamente buono avesse potuto consentire una cosa così cattiva e, poiché non potevo immaginarmi soltanto che un Dio buono, ne conclusi che Dio non esisteva. Ho adesso soltanto un profondo rammarico: per dimenticare la morte di mia madre, ho dimenticato di vivere con mio padre …
Sono rimasto diversi giorni a girovagare per la casa, come un Animale ferito. Non vi era nessuna parola veramente amica a confortarmi, ricevendo, sin quando non ho infine smesso di rispondere, solo telefonate per le ipocrite frasi di circostanza, e non posso che lamentarmene: si raccoglie quel che si semina ed io ho seminato solitudine … Inoltre non vedo Elisa da diversi mesi, da quando è terminata la mia Storia con lei, e da allora non l'ho più sentita, neppure in occasione del mio lutto.
Alla fine, come preso da un raptus di follia, ho fatto quel che non ho mai fatto: decidere ascoltando il mio cuore. Non so perché il mio cuore mi suggerisse di percorrere il Cammino di Santiago di Compostela, non so perché proprio Santiago, ma non vedevo perché dover Ascoltare soltanto la ragione, che nessuna strada sapeva aprirmi (sprangandomi anzi, seccamente, le strade indicatemi dal cuore) e che era l'unica colpevole del circolo chiuso in cui in quel momento mi trovavo e da cui solo il cuore sapeva almeno trarmi fuori. È stato così che ieri, d'improvviso, lasciato il mio ordinato appartamento all'Eur, sono saltato sul primo treno per i Pirenei, dove ora mi trovo.
Un'altra cosa sto adesso facendo, che non facevo da moltissimi anni, da prima che morisse mia madre: Scrivere le pagine di questo diario, di quel diario che una volta scrivevo e che poi lasciai di Scrivere su due piedi, per non dover Scrivere di un lutto, per me infinito.
26 giugno
Non so neppure quali treni ho preso, ma so solo che alla fine sono sceso a quella che è la “Porta” del Cammino di Santiago, Saint Jean Pied de Port, un villaggio francese alle falde dei Pirenei e da lì ho finalmente proseguito a piedi, unicamente sui miei piedi. La strada era pianeggiante, ma per uno come me, abituato a fare al massimo la strada sino alla macchina parcheggiata, era faticosa. A complicare le cose, dopo qualche ora di cammino, la strada, inerpicandosi sui Pirenei, cominciava ad essere in salita e tra le montagne ho pure trovato della nebbia ed un po' di pioggia, che mi hanno costretto a dover cercare un riparo di fortuna: avrei voluto tornare indietro, piantare tutto subito, ma non volevo arrendermi così presto, io, che sono sempre abituato a vincere, e così, nonostante tutto, sono riuscito ad arrivare a Valcarlos, lasciando l'Aquitania per la Navarra, la Francia per la Spagna, attraversando quel valico dei Pirenei noto come "Passaggio Navarro".
Strada facendo, mi sono accorto che qualcosa stava cambiando in me: il dolore per il lutto era sì ancora forte, ma cominciavo come a farmene una ragione, una strana sensazione che ho presto scacciato, poiché non poteva esserci alcuna ragione per la morte. Sono passato per Roncisvalle ed il suo omonimo valico e non poteva non sovvenirmi il ricordo dei Paladini di Francia e del fedele Cavaliere Orlando, che con la sua Durlindana in pugno, vi trovò qui morte. Anche qui una morte, ma eppure Orlando in questi luoghi è più vivo che mai: forse, più della morte, ha importanza come si è morti, come si è vissuti …
Faticosamente ho attraversato Burguete, Espinal, Viscarrett e via via i vari paesi sino a Zabaldica, inerpicandomi tra le montagne e scendendo tra le valli, muovendomi in un paesaggio boscoso. Iniziavo a provare curiosità per quel che vedevo e cominciavo ad osservare con più attenzione la vegetazione: per me, che sino a prima gli alberi sembravano tutti uguali, era una sorpresa scoprire com'erano diversi i castagni dalle querce, i faggi dai noccioli e queste considerazioni distraevano piacevolmente il mio pensiero dalla noia della mia solitudine, dal mal di vivere che mi portavo dentro.
A Pamplona mi sono fermato per un giorno, dismettendo momentaneamente le vesti del pellegrino per indossare quelle del turista ed ammirare la capitale della Navarra, famosa per la corsa dei tori in onore di San Firmino; quindi ho ripreso la marcia, arrivando, dopo una strada pianeggiante, a Puente La Reina, dove ora mi trovo. In questo punto, dove si riuniscono la Via Roncisvalle, che ho appena Percorso, ed il “Passaggio Aragonese”, laddove cioè confluiscono tutti i cammini che portano a Santiago, c'è un monumento che significativamente porta incisa la frase: «Dove tutti i cammini diventano uno». Quelle parole mi hanno colpito: se un cammino può essere la metafora della vita, possono tutte le vite infine avere un'unica meta ? E se sì, quale ? Probabilmente ci passerò il resto della giornata a pensarci su.
29 giugno
Si può toccare una stella ? Eppure ho raggiunto Est(r)ella, una bella cittadina della Navarra, adagiata sulle rive dell'Ega, che vive dei ricordi del suo antico passato, e ho pure visitato il Monastero di Nuestra Seňora de Irache. Davanti ai miei piedi sono lentamente sfilati Azqueta, Los Arcos, Torres del Rio e Logroňo, la capitale di La Rioja attraversata dall'Ebro, il fiume delle guerre Puniche, di Annibale e dell'infelice Sagunto.
La strada era tutto un susseguirsi di campi ancora fioriti e di bionde distese di grano (in alcuni posti già mietuto), che, nella regione di La Rioja, cedevano il passo a filari di vigneti. Se fino a qualche giorno fa ancora mi annoiavo a camminare in solitudine, ora mi divertivo ad osservare ciò che avevo dintorno, notando particolari e scorci a cui prima, per fretta o per freddezza, non facevo affatto caso. Tutto ciò riempiva il mio tempo e rasserenava il mio cuore, donandogli una pace, per me prima inconsueta.
Sto infatti imparando a trascurare l'orologio. Mi sembra strano muovermi senza curarmi affatto del tempo che passa, io, che alle lancette, a quegli algidi sacerdoti del tempo, ho perennemente affidato il mio destino, così che non vi è mai stato momento della mia vita, che un orologio non abbia battuto. Mi accorgo solo ora di essermi costruito, con zelo maniacale, la mia stessa prigione, pietra per pietra, e di essermici chiuso dentro: in questo momento sono simile ad un galeotto che, appena uscito, ha paura degli spazi sconfinati, eppure li anela, poiché è nato per essere libero.
Pensavo di essere signore del tempo, ordinando ogni cosa in maniera puntualmente perfetta, ma in realtà ne ero schiavo: non si controlla il tempo misurandolo, ma dimenticandolo. Il tempo, già, il tempo …
Sino ad ieri mi domandavo perché tutte le storie della mia vita fossero finite male, perché avessi perduto le Donne che avevo amato ed avevo sempre concluso che le Donne sono esseri misteriosi, che nessuno potrà mai capire veramente: oggi mi do però una risposta diversa. Non erano loro ad essere incomprensibili, ma in realtà io che non le amavo veramente: non erano la ragione del mio tempo, ma un modo per riempirmi il tempo, tant'è che, per quanto mi sforzi, non ricordo di aver mai progettato con nessuna una vita in comune, non ho mai immaginato qualcuna con cui invecchiare … Loro l'avevano subito capito, io lo sto intuendo solo adesso.
Con queste considerazioni, attraversando un paesaggio dolcemente ondulato, sono infine arrivato sull'imbrunire a Nájera, antica capitale del Regno di Navarra, dove mi sono fermato.
5 luglio
La strada mi sta pian piano cambiando.
È incredibile, eppure è così. Sono sempre stato schivo ed introverso, mai ho dato la minima confidenza a chicchessia: quando per strada qualche pellegrino, che neppure conoscevo, mi salutava, in precedenza cercavo di fingere di non averlo notato, ricambiandolo, con un impercettibile cenno freddo ed alquanto distaccato, soltanto se mi era impossibile fare diversamente. Ora invece saluto quelli che incontro, senza aspettare che siano essi a salutarmi per prima. Mi accodo ad altri viandanti e passo allegro le ore discorrendo con loro di varie cose ed attraverso loro, che mi narrano con orgoglio delle proprie terre lontane, conosco i vari paesi, come se non stessi solo andando per Santiago, ma per tutti i posti del mondo contemporaneamente. Non mi interrogo più se chi ho davanti sia ricco od un intellettuale, bastandomi soltanto che sia di buona indole: d'altronde qui, in mezzo al sudore ed alla polvere, non sono più un illustre cattedratico, un principe del foro, ma uno dei tanti che cammina.
Ho imparato a deporre la mia stolta alterigia, conoscendo gente migliore di me tra persone che non avevano un centesimo delle mie ricchezze o della mia Istruzione. Ho persino imparato ad non anteporre più l'egoistico pronome “Io”, lietamente confondendomi nel calore di un protettivo “noi” e mi sono sentito più forte: sembrerà un paradosso, ma più mi dissolvevo negli altri, più diventavo parte di un qualcosa più grande, più potente di me, partecipe ormai di una fiumana di gente, di un flusso immenso di energia vitale, che ha sempre scorso qui, lungo il Cammino di Santiago, in ogni epoca e che continuerà qui a scorrere anche quando non ci sarò più.
E ricominciavo a vedere Dio in ogni cosa: lo riconoscevo nelle foglie che tremolavano al vento, lo riconoscevo nelle spighe che ondeggiavano, lo riconoscevo nei canti degli uccelli, lo riconoscevo nei freschi ruscelli che incontravo, lo riconoscevo … Anche se non sapevo spiegarmi la Morte, non la ritenevo più così ingiusta, riconciliandomi finalmente con Dio, cosa che ha notevolmente accresciuto la mia letizia, al punto, che quando abbiamo attraversato le verdi pinete dei primi contrafforti della Meseta castigliana, ho persino cantato – io che non ho mai cantato – cori alpini insieme ad altri amici appena conosciuti. Persino quando tra le montagne abbiamo incontrato la pioggia, io, che sino a qualche giorno prima ne provavo acuto fastidio, l'ho accolta ridendo, come un fresco dono del cielo: non mi riconosco veramente più, o forse non riconosco più ciò che ero prima …
Così siamo arrivati a Burgos, antico capoluogo della Castiglia, e da lì abbiamo poi proseguito alla volta di León, un volta capitale dell'omonimo Regno, attraversando le roventi distese della Meseta, ora aride, ora coltivate a cereali: il caldo era davvero opprimente, spesso avevamo sete, ma l'allegria della combriccola che eravamo aiutava a superare i disagi, per cui abbiamo attraversato, quasi ridendo, l'inferno spagnolo.
Tra gli amici con cui sto affrontando insieme il cammino c'è un gruppo di Ribera, con cui mi sono particolarmente affiatato. Hanno scelto di affrontare il Cammino di Santiago per fare del turismo alternativo e della riflessione interiore, contando solo sulle proprie forze. Sono diventato loro amico, ma mi scopro di trovarmi spesso a parlare soprattutto con una ragazza, Sophie: la trovo solare, sempre allegra e sorridente, spigliata ed estroversa e tanto, tanto dolce … Forse che mi stia innamorando ?
10 luglio
Da León abbiamo poi proseguito alla volta di Astorga (il cui bizzarro palazzo episcopale fu progettato da Gaudí), laddove i campi di grano cedevano il passo ad un paesaggio collinare con querceti e pini, per poi inerpicarci in salita lungo la Meseta sino a Cruz de Ferro, a 1.500 ml. di quota. La strada era un po' faticosa, ma, con i giorni trascorsi, sono ormai diventato una macchina in grado di macinare chilometri: altro che il pappamolle che ero quando ho cominciato il cammino !!
Ho passato quasi sempre il tempo parlando con Sophie: con lei le ore volano allegramente, senza che neppure me ne accorga.
Mi piace tutto di lei: come ride, come parla, come gioca coi suoi capelli. È sicuramente molto bella, con i suoi lunghi capelli corvini e gli occhi color nocciola, ma quello che mi affascina di più è il suo cuore, ha veramente un grande cuore con cui riesce a cogliere il lato magico di ogni cosa, una magia che sta pazientemente insegnando pure a me.
E poi è saggia. Mi sono aperto con lei come mai mi sono aperto nella mia vita. Come un fiume in piena ho finalmente avuto qualcuno a cui parlare dei miei lutti, dei miei dilemmi, della mia vita e lei è stata indulgente ad ascoltarmi in silenzio, senza annoiarsi e senza distrarsi. Solo quando finalmente mi ero sfogato di anni ed anni di angosce e dolori repressi e mi sentivo già più leggero, solo allora lei mi ha parlato, trovando le parole giuste per consolarmi e rasserenarmi, facendomi riflettere …
Mi condannavo spietatamente per l'Uomo che ero stato e lei mi ribatteva che in realtà ero una persona sensibile, più sensibile di quanto immaginavo, che si era Vista costretta a costruire un falso muro di indifferenza soltanto per non perdere la sua vera anima: se non fossi stato sensibile, non sarei certo mai scappato in Spagna a fare quello che stavo facendo, ma avrei continuato a vivere laddove vivevo, consumando apatico altri giorni nell'indifferenza.
Mi lamentavo di aver in passato dimenticato Dio e lei mi rispondeva che in realtà ero più credente di quanto pensassi, poiché non avevo affatto rifiutato Dio, ma l'idea che Dio potesse essere cattivo: tanto elevata era la considerazione che ne avevo, che l'avevo nascosto da me per proteggerLo, cosicché era bastato poco per riconciliarmi subito, non essendomi mai veramente diviso da Lui.
Sì, Sophie mi aveva compreso meglio di quanto io mi fossi mai compreso: quell'estraneo che solo ora finalmente capivo, lei l'aveva già conosciuto prima di me e, come intuivo col cuore, l'aveva segretamente apprezzato.
Mi ero innamorato di Sophie. In realtà mi aveva colpito sin dal primo momento in cui l'avevo Vista. Le sue grazie fisiche avevano fatto scattare le pulsioni del cacciatore ancestrale che dormiva in me: ma io non ero più lo stesso che aveva iniziato il viaggio, per cui ciò che mi affascinava più di lei era soprattutto la sua grande anima, che emanava una profusione di energia vitale.
Temendo di perdere per sempre una persona veramente Speciale, né volendo in alcun modo portarle offesa, mi sono comportato con lei con la timidezza di un adolescente, come se fosse stato la prima volta che corteggiavo una Donna: forse era veramente la prima volta, dell'Uomo nuovo che ormai ero. Parlandole, adesso cercavo di fissarla negli occhi e quando i nostri sguardi si incrociavano, subito Sophie arrossiva pudicamente, voltandosi altrove, e talora, mentre discutevamo, entrambi scoppiavamo in sciocche risatine senza motivo, almeno per chi non ci guardava negli occhi.
Con queste sottili schermaglie, fra gli sguardi ammiccanti dei nostri amici, abbiamo affrontato la ripida salita finale che, verso il tramonto, ci ha portato a Cebreiro, Porta della Galizia e della Cordigliera Cantabrica. Prima di arrivare abbiamo trovato vento e freddo tra le montagne, per cui avevo prestato la mia giacca a Sophie perché si riparasse: come invidiavo la giacca, che aveva l'onore di poterla accarezzare !
Nella cittadina di Cebreiro abbiamo visitato la Chiesa di Santa Maria la Real, dov'è custodito il Calice del milagro, altrimenti detto il Sacro Graal Galiziano, a ricordo del miracolo eucaristico della transustanziazione avvenuto nel medioevo, ossia del “miracolo di trasformare ciò che fai in quello in cui credi”, come aveva una volta ben scritto Paulo Coelho. All'uscita dalla Chiesa, il vento si era calmato e le stelle quella sera erano splendide: Sophie si era incantata ad osservarle ed io indugiai accanto a lei, indicandole le varie costellazioni. Gli altri proseguirono avanti, senza accorgersi che eravamo rimasti indietro, ed io approfittai subito di quel momento di intimità: biascicando un imbarazzato «Ti amo», baciai subito Sophie, senza darle il tempo di potermi replicare.
Avevo il cuore in gola: avevo avuto troppa fretta ? Mi avrebbe respinto ? Non mi avrebbe voluto più vedere ? Tutti questi dilemmi svanirono subito, quando lei, invece di allontanarmi, mi abbracciò, stringendomi fortemente a sé.
Ero un Uomo fortunato. Ed ora lo sapevo.
14 luglio
Da Cebreiro, trovando una bella giornata di sole, abbiamo poi proseguito sino ai valichi montani nei dintorni di Liňares, da dove dominavamo la verde Galizia, per quindi procedere attraverso un paesaggio dolcemente ondulato di boschi e rigogliosi pascoli verso Samos. Infine si sono avvicendati per diversi chilometri tutta una serie di discese verso l'altopiano e di successive risalite verso le montagne: e così siamo passati attraverso Sarria e Pacios, Portomarín e Palas de Rey, sino a raggiungere Mellide, dopo cui ormai procedevamo sul pianeggiante “tavolato” galiziano. A Mellide abbiamo incontrato gli umidi venti atlantici, ormai liberi di spirare, senza incontrare ostacoli di sorta.
Io e Sophie procedevamo insieme, facendoci reciproche confidenze e cercando di conoscerci meglio di quanto già non ci conoscessimo. Tramite le sue parole ho così conosciuto la sua famiglia e la sua terra, il suo Lavoro e la sua vita, ormai – e me lo sentivo nel cuore – per sempre la nostra famiglia e la nostra terra, il nostro Lavoro e la nostra vita. I nostri compagni ci prendevano scherzosamente in giro, chiamandoci “i fidanzatini”. Tanto eravamo totalmente presi l'uno dell'altra, come anime gemelle lontane, da sempre desideratesi e finalmente ricongiuntesi, che spesso ci baciavamo, ma poi dovevamo immancabilmente sopportare gli amici di Sophie che ci scimmiottavano, facendo smorfie canzonatorie: se, nonostante il loro comportamento insopportabile, ci ostinavamo ancora a volerci baciare, ciò voleva dire che davvero ci amavamo, perché ce ne voleva veramente di pazienza …
Da Melide ad arrivare a Santiago di Compostela fu infine una sola cosa, quasi che avessimo fatto il rimanente Percorso volando: dopo numerosi giorni e chilometri, passati camminando con qualunque tempo, tra viottoli appena accennati o strade asfaltate, muovendoci ora in completa solitudine, ora in mezzo al traffico convulso, sostando, a volte comodamente, altre volte in maniera improvvisata, negli albergues che incontravamo lungo la via, avevo finalmente davanti a me la Cattedrale di Santiago con le sue torri svettanti sino al cielo. La piazza della basilica, Piazza Obradoiro, era gremita di gente al punto che ciò avrebbe fatto quasi svilire il senso del mio viaggio verso una meta così turistica, se non avessi subito riflettuto che, per vie diverse, quasi tutti eravamo lì convenuti seguendo un identico richiamo.
Dopo un ultimo sforzo per farci largo in mezzo alla confusione e saliti i gradini, siamo quindi entrati dentro la Cattedrale. Sophie teneva, in una mano, la mia mano stretta affettuosamente, e, nell'altra mano, dei colorati fiori di campo che aveva raccolto nell'ultimo tratto del Percorso. Arrivati davanti l'Altare maggiore, dove vi si trova la statua in pietra e argento di San Giacomo il Maggiore e, sotto, la cripta contenente le ossa del Santo, ricordando che esattamente un mese prima era morto mio padre, sentii d'improvviso di aver compiuto quello per cui ero venuto e, senza neppure sapere perché, mi misi a piangere. Mi sciolsi in un gran pianto, con Sophie accanto che mi abbracciava e mi accarezzava per consolarmi: non ricordo di aver mai pianto da quando morì mia madre, avendo sempre subito seppellito ogni mia emozione nel profondo degli abissi della mia psiche, e capii che infine mi stavo purificando, la mia anima stava vomitando via tutte le scorie velenose che nel corso degli anni avevo accumulato.
Quando smisi di piangere, mi sentii etereo, come mai ero stato, in pace con me stesso e con tutto ciò che mi circondava. Avevo ormai definitivamente trovato Dio e con Lui me stesso. Come illuminato, ora vedevo, al di là del ciclo delle morti, un grandioso Disegno divino di vita: mia madre non era mai morta, mio padre non era mai morto, nessuna persona cara mi era mai morta, ma erano tutti lì presenti e perfettamente vivi, nella gloria di quel momento. Circondai teneramente le spalle di Sophie, come per presentarla al cospetto dei miei cari e riceverne la loro approvazione, e, proprio in quel momento, mi arrivò l'odore dell'incenso, che percepii come una benedizione divina.
Il mio cuore, a Roma, mi aveva ispirato bene ed ho fatto pure bene ad ascoltarlo. Ho così chiuso, una volta per tutte, i conti con il passato: ora vedo accanto a me il presente e, finalmente, guardando Sophie, vedo pure il futuro, un futuro nel quale invecchiare serenamente.
20 luglio
Rimanemmo qualche giorno ancora a Santiago per riposarci e ritirare la “Compostela”, la credenziale del pellegrinaggio compiuto, quindi salutammo i nostri amici che, precedendoci, se ne ripartivano per l'Italia. Io e Sophie avevamo infatti deciso di rimanere un altro po', per affrontare il nostro primo viaggio insieme, proseguendo sino a Capo Finisterre, così prolungando il Cammino di Santiago sino al suo naturale epilogo sull'Atlantico, donde provengono quelle conchiglie che da sempre costituiscono il simbolo del Cammino stesso.
Giunti alla fine al Faro di Finisterre ed al cippo del Km. 0 del Cammino di Santiago, laddove le terre scomparivano nel mare, laddove l'Europa diventava Atlantico, siamo rimasti abbracciati in silenzio, proteggendoci reciprocamente dai freddi venti marini che soffiavano, ad ammirare l'infinita distesa dell'Oceano. Vi era un po' di nebbia, che rendeva perfettamente onore al nome di Costa della Morte, dato a quell'avvicendarsi di insenature: invero, l'interminabile susseguirsi di alte scogliere strapiombanti su acque scure costituiva uno spettacolo indubbiamente selvaggio, eppure al tempo stesso affascinante.
Come poi ci siamo confidati, restando in silenzio avevamo avuto entrambi i medesimi pensieri: avevamo visto in quel viaggio, sino alla Fine della Terra (Finisterre = Finis Terrae) e sino alla Costa della Morte, la metafora e la promessa di una vita che avremmo cercato di vivere dignitosamente per sempre insieme, sino alla fine del mondo, sino alle soglie della morte ed ancora oltre …
E così ci baciammo sorridendo, a suggello di quella muta promessa.
14 giugno di un anno dopo
Io e Sophie ci siamo sposati mesi fa al suo paese. Viviamo a Roma, ma andiamo spesso a trovare i suoi familiari, che ogni volta sono contenti di vederci.
Ho ripreso il mio Lavoro, ma questo non è più la ragione della mia vita, bensì un mezzo per vivere la vita e mi sono quindi ritagliato degli spazi di tempo, sacri ed inviolabili, per me, cosicché possa vivere, tranquillamente e senza affanno, la mia vita accanto a mia moglie, affrontando insieme, lietamente, tutto quello che la sorte ci riserva. E, soprattutto, voglio essere presente con Sophie, voglio esserci.
Oggi è l'anniversario della morte di mio padre. Ricordando quei lontani giorni, ho preso in mano le fotografie del mio Cammino per Santiago di Compostela. Ho così rivisto la foto di quel monumento a Puente La Reina, la cui frase «Dove tutti i cammini diventano uno» mi aveva allora colpito. Quasi un anno fa mi scervellavo su quella frase. Ora, guardando Sophie incinta ed i nostri cammini riuniti in uno solo, che ci porta verso quello che sarà nostro figlio, il suo senso mi sembra più semplice: l'Amore.
9 maggio 2009
Maurizio Luminoso
(Racconto apparso su Biblos Teller 1)