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Il treno di Saba (Racconto)

Aggiornato il 10/05/2009 00:00 
 

Il cielo, screziato di bianco e di rosa, si andava rischiarando sempre più, sotto le carezze dei raggi solari che regalavano calore e colori al nuovo giorno.

Era mattina presto e Saba non immaginava che , a quell'ora, le stazioni ferroviarie fossero così affollate.

Consultò il tabellone per individuare il binario da cui sarebbe partito il treno per Roma e si diresse, trascinando la sua voluminosa valigia, verso il marciapiede corrispondente.

La gente vorticava intorno a lei in preda all'ansia come la vigilia di Natale ai grandi magazzini: chi correva, chi rovesciava bagagli, chi chiedeva informazioni; qualcuno, con il fiatone, guardava, sconsolato, allontanarsi l'ultima carrozza del treno che aveva perso.

Lei era arrivata con largo anticipo, non correva quel rischio.

Seduta su una fredda panchina, aspettava impaziente: si recava nella capitale per partecipare al matrimonio di Susanna.

Le due ragazze erano state compagne di Scuola fin dalle elementari e tra loro era nata un'amicizia sincera, capace di sfidare qualsiasi calunnia e invidia altrui.

Quando Susi si era trasferita a Roma per Lavoro, Saba ne aveva sofferto molto, le pareva che una parte della sua anima se ne andasse con l'amica, si era sentita tanto sola e triste.

Le domeniche, poi, trascorrevano pigramente in un grigiore allucinante: i primi tempi era stata dura.

Dal canto suo, la ragazza dell'Urbe aveva provato gli stessi sentimenti di abbandono e di malinconia, anzi, a lei, che non conosceva nessuno, la grande città appariva ostile e chiusa nell'indifferenza.

La sera, si scambiavano telefonate lunghe ore ed ore, si narravano tutto, persino i più insignificanti dettagli delle rispettive esistenze.

La lontananza, però, non aveva scalfito il loro rapporto, si era solamente modificato nella forma e nel modo di essere vissuto.

Una sera, poi, Susanna aveva raccontato all'altra di aver conosciuto un brillante architetto, molto interessante e gentile che l'aveva invitata a cena.

La Storia si era fatta seria nei mesi successivi, fino ad approdare alla fatidica domanda a cui lei non aveva esitato a rispondere affermativamente.

Saba non aveva potuto che gioire di quella notizia ed, ora, si trovava lì, spaesata e un poco amareggiata per se stessa, lei che con gli Uomini era sempre stata sfortunata.

Un lungo treno merci passò, senza fermarsi, con il suo sferragliare assordante, provocando uno spostamento d'aria che la spettinò e la riscosse dai suoi pensieri.

Qualche binario più il là, un altro convoglio stava frenando faticosamente, fischiando e stridendo.

I passeggeri erano saliti a bordo e, dopo qualche istante, il mostro di ferro era ripartito con lentezza e quasi senza rumore.

Aumentando di velocità, il treno, a questo punto, faceva sentiretutto il suo fracasso mostrando, a chi restava sulle banchine in attesa, file di finestrini tutti uguali che nascondevano centinaia di vite dirette chissà dove.

Finalmente, fu annunciato l'arrivo del suo eurostar: trovato il numero della carrozza, vi salì con movimento goffo a causa della valigia, cercò il suo posto prenotato e si sedette.

I sedili di fronte a lei, erano rimasti vuoti, ne approfittò per dormicchiare un poco: quella notte, non aveva dormito molto , emozionata per quel viaggio, al pensiero di incontrare l'amica dopo tanto tempo, di esserle testimone nel suo giorno più bello, in una città dove non era mai stata.

Alla stazione successiva, però, salì molta gente e Saba si trovò in compagnia di una coppia di anziani signori e di una Donna dall'aria distinta.

Al di là dello stretto corridoio, sedevano quattro giovani ragazzi, esuberanti e chiassosi.

Anche loro andavano a Roma a trascorrere un fine settimana diverso dal solito.

Passò il capotreno ed ognuno esibì il proprio biglietto.

Fuori dal finestrino, il paesaggio mostrava campi verdi umidi di rugiada, filari di pioppi, canneti intricati e paesi mollemente adagiati nella Pianura Padana.

Il treno aveva già attraversato il ponte, dalle numerose campate, che univa le due sponde del fiume Po ed, ora, correva più veloce verso Fidenza.

Faceva impressione procedere sospesi su quell'immensa massa d'acqua.

Saba si ritrovò a pensare ai grandi fiumi americani, come il Missouri o il Mississippi, allo spaventoso volume liquido trasportato da quei serpenti argentati.

Il Po, a confronto, era un ruscelletto.

Le tre persone, sedute di fronte e accanto a Saba, si conoscevano.

Senza alzare la Voce, per non disturbare, intrapresero una conversazione a cui la ragazza assistette in silenzio, non per curiosità, ma per il Gusto di Ascoltare esperienze vissute da gente comune, che aveva affrontato e risolto problemi pesanti, individui che avevano trovato la loro strada e si erano realizzati con sacrificio ed abnegazione, persone felici ed entusiaste della vita.

Ogni tanto, un cellulare suonava e, quindi, pur non volendo, si veniva proiettati in un altro universo, nello svolgersi dell'esistenza di qualcun'altro, captando stralci di conversazione che lasciavano spazio a mille interpretazioni.

I giovani, consultando una cartina, facevano itinerari e progetti per la loro permanenza in città.

Dai vagoni in fondo al treno, giungevano persone dirette allo scompartimento adibito a bar.

Alcuni bambini trotterellavano dinanzi ad un genitore, divertiti da quell'attraversamento di porte automatiche e carrozze piene di gente.

Dopo qualche istante, li si vedeva tornare, con le manine occupate da pacchetti di patatine e da bibite, talora in difficoltà nel mantenere l'equilibrio a causa delle curve e dei movimenti sugli scambi ferroviari.

Il telefonino della giovane suonò.

Lei rispose e la sua Voce tradiva eccitazione:all'altro capo c'era Susanna che, in preda ad una comprensibile agitazione, voleva assicurarsi che la sua testimone fosse in viaggio.

L'avrebbe attesa all'ingresso principale della grande Termini e, insieme, sarebbero andate a ritirare l'abito da sposa.

La locomotiva stava, ora, entrando trionfante nella stazione di Parma.

La Donna che le sedeva accanto, le offrì una mentina e le chiese , scusandosi per la propria curiosità, se stava raggiungendo qualcuno per un matrimonio.

Naturalmente, l'aveva dedotto dal saluto finale della telefonata.

Saba raccontò dell'amica, per nulla infastidita da quella domanda, che poteva sembrare inopportuna.

Fu come aver aperto il vaso di Pandora: ai signori seduti di fronte brillarono gli occhi e cominciarono a narrare la propria Storia.

Erano entrambi nati durante la seconda Guerra mondiale nella periferia di Firenze e la loro infanzia era stata intrisa di povertà e di stenti. I loro genitori compivano enormi sacrifici per dare ai figli una dignità, spesso inutilmente.

Crescendo avevano imparato che la dignità è una qualità interiore che non dipende affatto dal non possedere zoccoli bucati o vestiti rattoppati.

Non avevano potuto Studiare oltre la quinta elementare lui,oltre la Scuola di avviamento lei.

Lui era andato a lavorare nei campi, lei aveva preso servizio come aiutante in un bar, in mezzo al fumo e alle bestemmie.

Ma i Soldi non bastavano mai e a casa c'erano dei fratellini da sfamare.

Lei era appassionata di libri, ma non poteva permettersi di comprarli, quindi, era divenuta un'assidua frequentatrice della Biblioteca ed era proprio lì che aveva conosciuto Aldo.

Il bel ragazzo bruno era venuto a consegnare della selvaggina al bibliotecario per conto del suo padrone.

Colpo di fulmine?

Non c'era dubbio.

I due avevano cominciato a frequentarsi di nascosto: sposarsi era il loro sogno, le possibilità economiche, però, erano veramente esigue.

L'opportunità si presentò in seguito ad una Tragedia: il padre di Aldo morì improvvisamente e la madre, per il grande dolore, perse la ragione.

A Lucia venne chiesto di pagare un pesante tributo: sposare sì l'Uomo che amava, ma andare ad abitare con lui nella casa paterna, occupandosi della madre fuori di senno e dei tre fratelli.

Si era trovata un lavoretto come segretaria a mezza giornata per non soccombere lei stessa alla pazzia di quell'Ambiente ricolmo di dolore e di tante responsabilità.

Inoltre qualche soldo in più non guastava.

Dal canto suo, Aldo aveva trovato impiego presso un afalegnameria e lavorava anche più di dieci ore al giorno, compreso il sabato.

Lucia, così, si sentiva anche molto sola, ma l'amore per il marito era incrollabile e le faceva superare ogni difficoltà.

La sera, a letto, si tenevano stretti per vincere il freddo di quella gelida stanza e si facevano forza vicendevolmente, avvinti da un'immane stanchezza, si addormentavano uniti nel corpo e nello spirito.

A quei tempi, la gente era davvero capace di fare rinunce e di vivere sperando in un mondo migliore, sostenuta dalla convinzione che non bisogna lasciarsi sopraffare dalla crudeltà degli eventi, confidando nei propri mezzi e nell'aiuto dell'Invisibile.

Si erano sposati nella chiesa di Santa Maria Novella quarantatre anni prima ed, ogni anno, nella data del loro anniversario,tornavano a Firenze per ricordare quel giorno, l'inizio di una vita dura ed estenuante, ma felice e ricca di rispetto, di devozione,di gesti affettuosi e di intesa.

Saba ascoltava rapita, quel Racconto di amore autentico e duraturo che le infondeva speranza.

Intorno a lei non sentiva parlare d'altro che di tradimenti e di separazioni, di figli divisi tra famiglie in discordia che facevano a gara nel dimostrarsi poco intelligenti e ancor meno sensibili.

Com'erano romantici quei due signori canuti! Dopo tutto quel tempo trascorso insieme, si tenevano per mano e si guardavano teneramente.

Modena era passata senza che i compagni di viaggio se ne rendessero conto ed, ora, il treno si stava avvicinando inesorabilmente a Bologna.

Qui, avvenne il passaggio di consegna tra il capotreno che era partito da Bergamo e colui che saliva in questa stazione per proseguire sino a fine corsa.

La sosta fu di circa un quarto d'ora .

I fumatori incalliti che non resistevano ad un astensione troppo prolungata, adesso, affollavano il marciapiede, ormai lasciato sgombro dai tanti passeggeri che erano scesi e dai nuovi che avevano preso posto nelle carrozze.

Fumavano in fretta, traendo poco piacere dalla sigaretta, attenti com'erano a risalire prima che le porte venissero chiuse.

L'eurostar uscì con lentezza dalla stazione riprese velocità solo dopo aver abbandonato gli ultimi caseggiati della città.

Fu la volta dell'altra signora di raccontarsi, ma era meno loquace dei suoi amici ed esaurì in breve la sua narrazione.

Era una professoressa di Letteratura, insegnava al Liceo.

Non si era sposata anche se lo avrebbe desiderato.

Riversava tutta la sua dedizione verso i suoi alunni e da loro era amata, pretendeva molto, ma gratificava ed incoraggiava chi dimostrava buona volontà.

Aveva aiutato molti ragazzi nelle scelte dell'università e alcuni, riconoscenti dopo anni, le facevano visita a casa.

Nel corso degli anni, aveva potuto osservare l'evolversi, se così si poteva dire, della gioventù, rattristandosi nel notare che i valori si stavano perdendo e che la superficialità permeava la società come un veleno vischioso da cui era complicato liberarsi.

Riallacciandosi al discorso di prima sul sacrificio e la tenacia testarda di una volta, scambiò qualche battuta con l'anziana coppia.

Tuttavia, gli sprazzi di ingegno e gli spunti di saggezza che alcuni giovani riuscivano a tradurre in fatti concreti, le permettevano ancora di aver fiducia nelle nuove generazioni, di sperare che non tutto fosse perduto.

I quattro ragazzi diretti a Roma le sorrisero, probabilmente compiaciuti che qualcuno credesse ancora in loro.

Avevano, infatti, l'aspetto di bravi ragazzi: uno di questi si stava laureando proprio in Letteratura straniera ed espose alla professoressa la tesi sulla quale stava lavorando.

Saba ascoltava tutto quanto, ma non perdeva d'Occhio il paesaggio al di là del finestrino che stava mutando.

La pianura,ormai lontana, aveva ceduto il posto alle montagne dalle mille sfumature,ai prati immensi di verde brillante, al sole che indorava le cime, ai piccoli torrenti tra le gole.

Spesso, il panorama spariva inghiottito dalle gallerie buie, ricomparendo, poi, come per magia fuori dai tunnel sfoggiando tutta la sua bellezza.

La ragazza amava la natura e quello spettacolo, in una serena e luminosa mattina di maggio, la distrasse momentaneamente dai discorsi.

Immaginò, per un attimo, lo scenario del treno che correva tra i monti e si nascondeva, appunto, nelle gallerie, visto dall'alto, come da bambina soleva guardare ipnotizzata il plastico dei trenini elettrici di suo fratello.

Adorava le piccole locomotive che si arrampicavano a fatica sulle salite trainando il loro carico di vagoncini colorati, per poi ridiscendere, dall'altra parte, con maggiore velocità, i ponticelli, le casette e gli alberi di quel mondo in miniatura.

Dolci ricordi d'infanzia.

Ripresasi dal suo vagheggiare, decise di andare a prendersi un caffè, chiese permesso alla signora ed uscì dallo scompartimento barcollando.

Quando vi rientrò, il nuovo capotreno domandò di verificare il suo biglietto.

Nell'estrarlo dalla borsetta, le cadde un fermaglio.

Tutti e due si chinarono per raccoglierlo, le loro mani si sfiorarono e, per un fugace istante, si fissarono negli occhi.

Sul viso di lui, due perle azzurre in un lampo la rapirono verso i Tropici dove il mare è più cristallino ed il tempo pare sospeso.

Un passeggero domandò all'Uomo a che ora sarebbero giunti a Firenze.

Lui riluttante abbandonò la sua posizione accovacciata in mezzo al corridoio, anch'egli perso nel verde grigio degli occhi di lei.

Saba tornò al suo posto.

Ancora dieci minuti e i suoi compagni sarebbero scesi nella stazione di Firenze Rifredi dove avrebbero preso un treno per quella di Santa Maria Novella, vicina alla chiesa dove avevano coronato il loro sogno.

Questi recuperarono i bagagli, salutarono la giovane ringraziandola per la buona compagnia e augurandole buona permanenza nella capitale.

Saba, a sua volta, espresse il piacere di aver viaggiato con persone tanto ricche dentro.

Avvenne il consueto scambio di passeggeri: tanti ne scendevano, tanti ne salivano, ma solo uno dei posti vicino a lei fu nuovamente occupato.

Un signore in giacca e cravatta, non appena seduto, senza farle neppure un cenno di saluto, estrasse da una valigetta un portatile e si mise ad elaborare dati, completamente isolato da quanto gli accadeva intorno.

Il treno aveva accumulato venti minuti di ritardo ed, ora, per recuperare, divorava traversine su traversine senza alcuna pietà, piegandosi sensibilmente nelle curve.

Adesso, regnava il silenzio; anche i i ragazzi si erano perduti nell'ascolto dei loro lettori MP3.

Soltanto qualcuno, in fondo al vagone, chiacchierava, ma le voci arrivavano sommesse.

Saba chiuse gli occhi e pensò alla casualità delle cose, al fatto di aver incontrato proprio quelle persone e non delle altre, alle conversazioni che ne erano scaturite, a quale grande esempio di vita ti possono dare.

Si domandava se lei, a sua volta, era in grado di dare qualcosa di sé.

Lei non aveva detto molto della propria vita, aveva parlato per lo più di Susi e del suo matrimonio: si interrogò, allora, se la sua fosse davvero un'esistenza così povera e così insignificante da non essere degna di nota.

Lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento, era cortese ed affabile con i clienti, era disponibile con le colleghe, il suo capo non l'aveva mai ripresa.

La sera, poi, tornava a casa: abitava ancora con i genitori, per i quali aveva interrotto gli studi all'università.

La piccola officina di papà non navigava in buone acque e presto sarebbe stato necessario chiudere.

Saba aveva frequentato il primo anno di ateneo, arrabattandosi tra turni di babysitter e lezioni private a studenti delle scuole superiori, ma non poteva continuare così.

Era sempre troppo stanca e non riusciva a preparare gli esami: quindi, con tanta sofferenza aveva deciso di fermarsi e trovare un Lavoro fisso con uno stipendio sicuro, almeno per il momento.

Il padre aveva ceduto l'officina senza troppe perdite, restava qualche piccolo debito, ma presto la situazione sarebbe tornata alla normalità.

A Saba piaceva il suo Lavoro di commessa ed, alla fine, non aveva più pensato all'università: viveva le sue giornate tranquille e lineari, tutto era sotto controllo e privo di rischio.

Solo ora, si rendeva conto di quanto quelle giornate fossero tutte uguali e monotone, senza movimento, senza Colore, senza imprevisti e, cosa ben più grave, senza sfide.

Aprì gli occhi di scatto, appena in tempo per vedere sparire l'uniforme del suo bel capotreno attraverso la porta dello scompartimento.

Si mise a sedere più composta e continuò a ragionare sul suo vissuto.

Di nuovo quelle parole;: una vita senza rischi, senza sfide.

E di conseguenza senza traguardi da raggiungere, senza emozioni, senza vittorie.

Susanna era stata più fortunata di lei, perché aveva terminato i suoi studi senza difficoltà grazie alle possibilità economiche della famiglia, ma, poi, aveva avuto il coraggio di lasciare tutto e tutti per trasferirsi a Roma, dove avrebbe iniziato un Lavoro importante, priva di esperienza, quindi, partendo dalla gavetta più dura.

In poco tempo, aveva impressionato i suoi superiori al punto da farle ottenere una promozione e nuove responsabilità; faceva volontariato all'ospedale pediatrico facendo divertire i bimbi ricoverati, aiutandoli a superare meglio l'esperienza traumatica.

Ed ora si sposava con un Uomo fantastico!

E lei, Saba Giordano di anni ventitre, ragazza carina e intelligente, cosa stava aspettando?

Che un fulmine la colpisse?

Forse l'aveva già colpita!

Quella presa di coscienza la illuminò: lei possedeva buone qualità, perspicacia e volontà, pazienza e, adesso, aveva anche un forte desiderio di cambiare.

Sentiva di avere un grande dovere verso se stessa: mettersi in gioco!

Sì, era risoluta.

I suoi giorni che languivano nella grigia apatia erano finiti!

Ora che la situazione familiare aveva ritrovato il suo equilibrio, lei avrebbe potuto permettersi di lavorare part-time, se il suo datore di Lavoro glielo avesse concesso, e riprendere gli studi.

In fondo era sempre stato il suo sogno diventare architetto, magari di giardini.

In tal caso, avrebbe anche potuto restare a contatto con la sua amata natura, beandosi dell'armonia delle forme di aiuole e di angoli fioriti, di cascatelle gorgoglianti in mezzo al verde rilassante e carico di energia.

Quel pensiero la entusiasmò e sorrise tra sé.

Intanto, il treno correva veloce tra la Toscana e il Lazio, toccando l'Umbria nei pressi di Orvieto, arrampicato lassù, baciato da un sole sfavillante .

Osservò il rigoglio dei cespugli e degli alberi che fiancheggiavano la ferrovia dal Carattere un po' selvaggio.

Nel loro crescere disordinato, c'era un non so che di aggraziato, di pulito, di semplice e pur di complesso allo stesso tempo, di palpitante.

Non avrebbe reciso neppure un ramo di quella scapigliatura spontanea e pensò che, nei giardini che avrebbe progettato, qua e là, la natura non sarebbe stata ingabbiata da regole estetiche, ma si sarebbe sviluppata nella sua esuberanza, libera di esprimere tutta la sua forza creatrice.

Diventare architetto, avrebbe significato viaggiare, conoscere, intraprendere rapporti interpersonali, condividere, confrontarsi, dare spazio a nuove idee, crescere professionalmente ed umanamente.

Mancava meno di un'ora all'arrivo e Saba ne era quasi dispiaciuta.

Quel viaggio si era trasformato in qualcosa di grande,in un dono di consapevolezza, in una scintilla di rinascita.

Nel vagone, le voci si erano alzate di tono nuovamente, ma lei non le sentiva, catturata da un turbine di pensieri che si dilatavano oltre un orizzonte, ormai, non più delineato.

La visione che aveva di sé era ben lontana dall'essere rinchiusa in un negozio dalle luci accecanti, dall'inconfondibile odore pungente di stoffa nuova che non conosce il piacevole profumo di un capo appena lavato.

Quell'Ambiente che, fino ad allora, rappresentava sicurezza e conforto, era, adesso, troppo stretto, sembrava che le sue pareti si stringessero intorno a lei togliendole il respiro.

Le prime case di Roma, stavano sfilando come soldatini in riga al di là dei finestrini interrotte da zone verdi, poi, finalmente, i caseggiati cominciavano ad essere più ravvicinati ed imponenti.

Mentre l'eurostar rallentava la sua corsa, si potevano notare i particolari di quello scenario.

Il lento procedere sembrò far durare all'infinito l'ultimo tratto del viaggio.

Come un grosso Animale agonizzante che si trascina per andare a morire in pace, il bestione si fermò cigolando sul binario numero sei, esalando il suo ultimo respiro.

Saba attese con pazienza il suo turno di scendere: i passeggeri che assiepavano i corridoi ingombri di bagagli, avanzavano in lenta processione verso le porte di uscita.

Scesa sul marciapiede, lo percorse trascinando la valigia dribblando le persone che avevano viaggiato sui vagoni più vicini alla locomotiva.

La confusione era molta, ma non le impedì di incrociare di nuovo lo sguardo azzurro del capotreno che sembrava averla attesa al varco in testa al binario.

Lui le sorrise.

Lei proseguì verso l'uscita principale, voltandosi indietro più volte a guardarlo, scorgendone,però, solo il berretto della divisa.

Tornata a districarsi tra la folla, vide due braccia che si agitavano nell'aria e il sorriso raggiante di Susanna.

Il viaggio si era concluso; una nuova vita stava iniziando.

Silvia Peroni

(Racconto apparso su Biblos Teller 1)