Ritratto di donna (Racconto)
Mena Mascia Aggiornato il 13/05/2009 00:00Quella che una volta si usava designare come l'amica del cuore, l'unica cui rivelare i più intimi segreti, la Donna della quale tenterò il ritratto e che dalla sera del 15 febbraio scorso, purtroppo, mi ha lasciata, aveva la stessa età di mia madre.
Il raccontare di lei, di come ha vissuto e di quanto bene le ho voluto, non sarà immune dalla contaminazione del nostro rapporto che contraddice l'obiettività imposta ad una cronista cui piace raccontare la realtà. Me ne scuso, ma non so fare diversamente.
Nonostante la mia eventuale poca obiettività, comunque, la Storia di Maria Lucia va scritta ed io lo farò, avendo cura di smettere, qualora mi accorgessi di cadere preda dei ricordi e del rimpianto per la bella persona che era. Glielo promisi un giorno in cui, sedute a chiacchierare sferruzzando, lei mi chiese: “Non ti piacerebbe raccontare di me”? Al momento mi meravigliai un poco della strana richiesta, sapendola tanto schiva, riservata, e gelosa della sua privacy. Ma non le dissi di no.
non sia mai detto perciò che io venga meno ad una promessa.
Fino a quando fu in vita non fui capace di farlo. Ora che non c'è più, e che mi manca da morire, come potrei comportarmi diversamente?
Benché nient'affatto facile, la vita della mia compianta amica è stata, o potrebbe essere stata, un autentico esempio da imitare o da prendere a prestito per non restare vittime di quegli attimi di scoramento che appartengono a tutte e nei quali molte di noi rimangono talvolta vittime, imbrigliate in quella malattia subdola che è la depressione.
Chi come me ha avuto la buona sorte di conoscere Maria Lucia e di esserle stata amica, può considerarsi davvero fortunato per avere incontrato sul proprio cammino una persona a dir poco straordinaria.
Si dice che l'aprile del 1920 fosse particolarmente caldo quell'anno. Nella piccola frazione agricola dell'interland campobassano dov'era nata e viveva, Maria Lucia era una bimba come se ne potevano vedere tante. Proprio come tutti i bambini nati da genitori che nella loro vita non badavano ad altro che alla terra, anche lei veniva lasciata nel suo lettino, col Naso sporco di moccio e gli occhi cisposi che nessuno nettava, allorché si alzava ogni mattina.
A tre anni solo da poco compiuti, quella brunetta dall'incarnato olivastro, tutta capelli, neri come l'ebano, tagliati sempre cortissimi perché non le oscurassero i grandi occhi castani, trascorreva il tempo della prima infanzia affidata alle cure di due fratelli più grandi che, essendo ancora troppo piccoli anch'essi, spesso se ne dimenticavano e la lasciavano da sola a giocare col cagnolino Bill, il quale, al contrario di loro, sembrava gradire moltissimo le attenzioni della bambina.
Con il suo cagnolino Maria Lucia parlava come avrebbe fatto con la bambola che non aveva o con una particolare compagna di giochi, tanto più singolare per il fatto che l'Animale non la contraddiceva mai e si lasciava angariare con il pettine stretto che qualche volta la mamma usava con lei se le vedeva grattarsi troppo di frequente la testa.
Quando il gioco cominciava, per un poco Bill la lasciava fare, rabbrividendo non si sapeva se di dolore o di piacere, ma poi, dando palesi segni di fastidio, appioppava dei piccoli morsi di avvertimento sulla mano della bimba che, offesa a morte, gli dichiarava la Guerra dell'indifferenza, una Guerra che tuttavia non durava mai più a lungo di qualche minuto. Facevano quindi la pace, ed il pettine, l'unico giocattolo a portata di mano della bambina che non ne possedeva altri, un piccolo oggetto di tortura per il povero cagnolino, veniva relegato in una fenditura del muro per essere ripreso ed usato in un momento che entrambi avrebbero ritenuto più opportuno.
Tanti passi faceva Maria Lucia per la campagna, altrettanti ne faceva l'Animale fedele che non la lasciava mai un attimo.
Così stavano le cose, quando un giorno la bestia salvò la vita della padroncina.
Quell'anno l'inverno fu freddissimo ed in casa c'era sempre il camino acceso, anche quando la Cucina risultava disabitata perché i bambini dormivano ancora. Quel lieve calore la rendeva meno gelida. Prima di andare in campagna, era la mamma Giannina che, per colmo di tenerezza verso i figli, provvedeva a riscaldarne un poco le pareti perché alzandosi i tre piccini non tremassero troppo, uscendo appena dalle calde coperte che li avevano ospitati durante la notte.
Così com'era abituato a fare ogni mattina, anche quel giorno Bill salì piano la scala e, senza far rumore, si accucciò in fondo al letto di Maria Lucia, attese un poco che lei si svegliasse e poi incominciò a solleticarle i piedi perché finalmente si decidesse a ricordarsi di lui e salutarlo. Sbadigliando la piccola si strofinò gli occhi ancora pieni di sonno e lo prese con sé nel letto per coccolarvelo un tantino; poi si alzò e col cane fra le braccia scese in Cucina.
Evidentemente si dovette avvicinare al fuoco un poco troppo, se la sottanina le s'infiammò addosso come si trattasse di un fascio di foglie secche. Mentre il fuoco la investiva completamente, Maria Lucia cadde a terra priva di sensi. Di sicuro sarebbe morta bruciata, se non fosse comparsa improvvisamente la mamma a spegnerle i vestiti. Ad avvertirla, era stato il coraggioso amico di sempre che, fiutando un pericolo imminente, aveva scavalcato un abbaìno della camera da letto, e, Dio solo sa come, saltando di tetto in tetto, era riuscito ad avvertire la contadina. Correndo attraverso la campagna come un fulmine ed abbaiando come un ossesso, l'aveva raggiunta, e, presala per i vestiti, l'aveva condotta a casa. Con l'autorità della disperazione di chi non sa parlare, aveva preso in Bocca un lembo del grembiule della Donna spaventata di vederselo davanti ed, imponendosi a lei con le proprie urla, l'aveva trascinata a tempo di record fino adestinazione. Madre e cane avevano fatto appena in tempo a spegnere quella torcia umana e a rianimare Maria Lucia, prima che l'impossibilità di respirare la facesse soffocare.
Stando così le cose fra cane e bambina, non è difficile comprendere quale fosse il rapporto di totale dipendenza fra i due, un rapporto di tale sudditanza, mediante il quale oscuramente l'Animale era stato capace di capire che la sua padroncina poteva essergli portata via da tutto quel caldo e le era venuto in aiuto.
Una mattina Maria Lucia si alzò bruciante di febbre per incominciare una delle solite giornate, una giornata uguale a tutte le altre che il Buon Dio si compiaceva di mandare in terra, ventiquattr'ore che sarebbero trascorse prive sia d'infamia che di lode, simili a tutte quelle passate prima, se Maria Lucia non avesse avuto tanto freddo ed il piccolo corpo pieno di macchioline rosse che le davano un prurito incontenibile. I denti le battevano forte e tremava tutta. Bill capì che la padroncina non aveva voglia di giocare, perciò prese in Bocca il gomitolo di lana rossa della mamma, le si mise a giocarle ai piedi quieto quieto come fosse stato appositamente ammaestrato perché non facesse baccano.
Il cane non la disturbò. Li trovarono così mamma Giannina ed i fratellini tornando dalla campagna verso mezzogiorno.
Nella casa silenziosa, quella sera e le altre che seguirono, il Santo Rosario fu recitato a Voce più bassa del solito dall'intera famiglia, mentre Maria Lucia continuava ad ardere di febbre.
La cantilena consueta si spezzava a tratti per far posto alla paura che ormai non lasciava più sua madre; pappagallescamente, senza rifletterle, la poverina ripeteva con gli altri la serie delle ave Marie, storpiandone come tutti i detti latini, rivolgendo tuttavia fisso il pensiero supplichevole verso una crudele entità ignota che permetteva alla febbre d'invadere la sua bambina senza difese rispetto al morbo sconosciuto che le stava chiudendo irrimediabilmente gli enormi occhi castani. Passando da un dormiveglia all'altro, talvolta Maria Lucia diventava tanto pallida da sembrare morta, mentre gli occhioni le si rimpicciolivano mangiati dal male, continuando a rimanere serrati.
Non bastarono a farglieli riaprire riti di scongiuri e contro malocchi.
Trascorsi alcuni giorni senza che nulla cambiasse, quando fu deciso d'informare il medico condotto, questi disse che era già troppo tardi.
La rosolia non curata aveva resa completamente cieca la bimba dagli occhi castani.
In quell'occasione, evidentemente nemmeno il povero Bill poté fare nulla per ridare la luce alla sua piccola amica della quale non comprese immediatamente le difficoltà, se non dimostrandole come sapeva un affetto incondizionato, quell'affetto senza parole di cui solo un cane può rendersi capace.
Le si faceva presente in mille modi, le si strofinava sulle gambe col muso, facendole festa con la coda, ma lei oramai non lo considerava più. Ne aveva addirittura paura.
Quando la povera bestia le si avvicinava mugolando, Maria Lucia lo respingeva piangendo piano spaventata, come se in vita sua non lo avesse mai avuto tanto caro.
Mentre Bill si rassegnava a guardarla solamente da lontano, la piccola diventava così triste da non riconoscerla, fino al punto che con l'Animale fedele non giocò mai più.
Aveva soltanto cinque anni, allorché il Parroco del paese propose ai genitori della piccola di mandarla lontana da casa, in una Scuola Speciale per ciechi che provvedesse alla sua Istruzione.
Quando se ne andò, nessuno ne pianse la partenza. Nemmeno sua madre, baciandola, dimostrò commozione alcuna. Solamente il povero Bill se ne lamentò per giorni, fino a morirne di nostalgia qualche tempo dopo.
Nel collegio romano, Maria Lucia rimase la piccola solitaria e scontrosa che era stata pure a casa, lo diventò anzi solo molto di più.
Nel suo mondo privo di amore e di colori era venuta a far parte la diffidenza verso il prossimo, diffidenza che non la lasciò mai.
Le insegnarono a suonare il pianoforte e le fecero concludere le scuole che era possibile frequentare negli anni venti, ma il Carattere difficile dell'adolescente si rivelò presto spigoloso ed ostico, tanto che le compagne non amavano stare a lungo con lei.
Però le piaceva Scrivere, attività cui si dedicava volentieri per ingannare il troppo tempo vuoto durante l'interminabile estate, quando tutte le altre allieve lasciavano l'Istituto per trovarsi di nuovo in seno alle proprie famiglie.
Ma Roma era troppo lontana dal Molise e quelli erano tempi nei quali risultava difficile a chiunque spostarsi agevolmente da una regione all'altra, figuriamoci ai poveri. Maria Lucia era perciò costretta a rimanere in collegio insieme ad un altro sventurato compagno con cui poteva parlare solo attraverso una ruota, essendo severamente vietato dalle regole vigenti allora che maschi e femmine si frequentassero.
Solamente nel periodo estivo il bell'Umberto la degnava di una buona parola dicendole addirittura di amarla, poiché durante l'inverno il giovanotto non disdegnava di far credere ad altre otto ragazze di essere innamorato di ognuna di loro. Queste, saltando a pié pari sui sentimenti di Maria Lucia, all'insaputa l'una dell'altra, le davano da rispondere alle lettere che lui indifferentemente passava a ciascuna.
Lei comunque non s'innamorò mai realmente del don Giovanni da strapazzo cui indirizzava le parole infuocate che le venivano dal suo essere giovane come tutte, né mai svelò alle compagne il segreto di cui era a perfetta conoscenza. Pur sapendosi da queste usata, si convinse fosse quello il prezzo da pagare per l'umiliazione che subiva accettando da loro i dolciumi che le assistenti pretendevano dividessero con lei che non riceveva mai visite.
Prima che, non Vista, Maria Lucia avesse sentito la conversazione che le avrebbe aperto definitivamente gli occhi sul conto delle benefattrici, aveva creduto che le compagne facessero a mezzo con lei dei regali ricevuti per pura bontà, ma quando seppe che le stesse venivano quasi obbligate a compiere quei gesti non per solidarietà, bensì per pietà, si fece maggiormente da parte ed accettò la propria solitudine come si accetterebbe una severa penitenza data dal più austero dei confessori.
Così la ragazza cresceva diventando una bella appetitosa Donna bruna.
La solitudine sofferta in quegli immensi ambienti vuoti le faceva percepire estranee presenze che, attraverso gli scricchiolii dei vecchi mobili e delle suppellettili scrostate, rendevano più grave il silenzio delle stanze.
Nelle lunghe ed afose giornate di luglio, Maria Lucia leggeva libri interminabili che le accendevano la fantasia, romanzi dalle cui trame intricate traeva la forza per esorcizzare la paura che non la lasciava mai. Mentre girellava per gli enormi stanzoni che rimbombavano lugubri sotto l'eco dei suoi passi, assorta nei propri pensieri, sognava di essere una delle tante eroine incontrate nelle pagine lette. Ed allora le sembrava che il caldo romano le fosse più sopportabile.
Contrariamente a quanto succedeva e succede da che mondo è mondo a tutti gli altri studenti, per la solitaria Maria Lucia l'avvicinarsi dell'apertura dell'anno scolastico rappresentava una vera gioia .
Era infatti contenta quando l'Istituto si riempiva di voci, di novità sussurrate a tono basso e di risate ironiche rivolte al suo indirizzo. Allorché capitò che una delle compagne, la più carina fra le tante, tornò incinta da casa, visto che, nonostante gli ammiccamenti, Maria Lucia aveva perfettamente capito tutta la Storia, qualcuna le disse con sufficienza e senza un minimo di Tatto: "beata te che stai sempre qui, perché non può capitarti nulla di strano".
Se in quel momento Maria Lucia avesse ricevuto una pugnalata, probabilmente non le sarebbe uscita dal corpo una goccia di sangue, tanto l'esclamazione della compagna l'aveva fatta rimanere male. Ma cosa ne sapeva quella stupida presuntuosa di ciò che sarebbe stato meglio per lei?
Ad ogni buon conto non fece trapelare nulla della sua rabbia, si limitò solamente a stringersi nelle spalle e stette attentissima a non prendere più parte ai capannelli che su questo episodio continuarono a formarsi per pettegolare ancora a lungo, fino a Natale ed oltre.
Maria Lucia dunque non conobbe vacanze natalizie, né intervalli pasquali od allontanamenti dal collegio durante l'estate, fino a quando, passata l'età degli studi ed oltre, non la spedirono da un posto all'altro e poi definitivamente dai suoi, al paesello natale.
Ma la madre ne fu spaventata. Saputo che Maria Lucia sarebbe tornata a casa, si recò dal Parroco disperata. Con le mani fra i capelli lo supplicò perché intercedesse in alto loco per farla rimanere per sempre dov'era stata fino ad allora e, non riuscendo che ad irritare il Prete, mal si rassegnò a riaccogliere fra le mura domestiche quella bella ragazza che da tanto tempo non riconosceva più come sua figlia. Non che ne avesse dimenticato l'esistenza, questo no, tuttavia, cosa poteva farsene ormai più di quella cieca estranea, lei che non sapeva nemmeno come parlarle, visto che Maria Lucia le si rivolgeva in tutt'altro idioma che nel dialetto consueto dei paesani? Era possibile che non solo lei la vedeva così; ma allora, se qualcun altro poteva aver ritenuto che l'Ambiente casalingo non si addiceva alle attuali condizioni di sua figlia, perché ora gliela rimandavano a casa? Pensava con disagio ed imbarazzo la contadina.
Si badi bene: non era che mamma Giannina fosse spinta ad agire così da mala fede, giacché a farla da padrone perfino sull'istinto materno della Donna, era sopravvenuto quel senso d'inadeguatezza che può afferrare chiunque improvvisamente viene a trovarsi di nuovo faccia a faccia con una sciagura di cui non sa misurare la vastità della problematica. Da un momento all'altro la contadina era stata messa a dura prova da una tale serie di problemi da sentirsene sopraffatta e della cui complessità evidentemente aveva paura, ragione per la quale aveva tentato di rimuovere qualsiasi altro sentimento. In effetti quella madre non poteva sentirsi davvero a suo agio con una persona che l'aveva lasciata quand'era solo una bambina e che improvvisamente le ritornava una Donna fatta, di fronte alla quale lei che sapeva perfettamente di essere poco più che analfabeta, una semplice Donna dei campi, provava una strana soggezione. Avvertendola talmente altro da sé da non osare nemmeno guardarla, in sua presenza chinava la testa e sospirava.
Benché, come si è detto, Maria Lucia fosse chiusa all'amore come un riccio nel suo guscio di spine, anche lei, una volta tornata a casa, quando meno se l'aspettava, trovò Cupido ad attenderla al varco. Il Dio che protegge gli innamorati, le venne incontro nelle vesti di un giovane muratore che s'invaghì di lei a prima Vista.
Attraverso la campagna che brulicava di rumori lievi e profumava di fieno appena tagliato, tutti e due facevano delle lunghe passeggiate su una sola bicicletta. Ma, vuoi per soggezione, vuoi perché in quei tempi non si era così liberi, come lo si è oggi, pur gustando entrambi il piacere di essere insieme, non infransero mai il tabù del sesso.
Quella Storia d'amore che fu breve come uno spirar di vento e le attraversò la strada sfiorandola così come avrebbe fatto il lieve volo di una farfalla, si dipanò bellissima, concludendosi con un unico, lungo bacio del giovane fra i neri capelli della ragazza ed un trasferimento del medesimo in terra straniera.
Vista l'assoluta impossibilità di concretizzare il loro sogno, il giovane preferì andarsene altrove. Per vie traverse, la ragazza seppe poi che Luigi era partito in cerca di fortuna verso i lontani paesi dell'Australia, dove gli emigranti molisani erano numerosi. Ne rimpianse il non vederlo più, ma lei era abituata tanto agli abbandoni che non ci fece poi troppo caso.
In paese non l'avevano Vista da qualche decennio, quella bruna creatura longilinea che non tardò a sconvolgere i sensi dei maschi di casa, uno dei fratelli ed il padre compreso. Diventando l'involontario oggetto malsano delle loro passioni, da essi Maria Lucia conobbe l'incestuosa Violenza che lascia allibiti, una Violenza dalla quale fu per sempre segnata. Ancora una volta le toccò subire l'affronto di trovarsi a combattere da sola la Guerra quotidiana dell'esistere, in una tale condizione di svantaggio da cui non seppe o non volle difendersi attraverso la legge. Non vi ricorse forse per paura di passare da vittima qual'era a provocatrice. Tacque con tutti, prima di trovare il coraggio di parlare con l'unica persona che pensava l'avrebbe aiutata, sua madre. Si sbagliava, tuttavia. La contadina gelosa non le credette, imputandole di essere lei col suo corpo la morbosa tentatrice di quei maschi che fino ad allora se n'erano stati buoni e tranquilli al loro posto.
La disperata Maria Lucia allora non trovò altro rimedio che farsi Giustizia da sé: un giorno che erano soli in casa, nella speranza di liberarsene, spinse suo padre giù per la monumentale scala di legno, cadendo dalla quale il vecchio riportò un trauma cranico che comunque ben presto guarì, senza peraltro che l'esasperata lezione impartitagli dalla figlia lo facesse desistere dalla continua voglia di dimostrarle le proprie velleità di maschio ancora virile ad ottant'anni suonati. Non sapendo cos'altro fare, Maria Lucia abbandonò la casa del fratello per non tornarci se non quando questi fu morto, ma anche in quella circostanza vi mise piede solamente per accompagnarlo al cimitero.
Quando un giorno finalmente anche suo padre morì, lasciò ogni proprietà indivisa, evidentemente dando per scontato che Maria Lucia non fosse da considerarsi nemmeno fra gli eredi, per cui rimanesse nella casa dell'altro figlio. Naturalmente il fratello si appropriò anche della sua porzione di eredità, considerandola sempre, nonostante un tale sopruso, un'ospite poco gradita.
Sebbene non ne fosse venuta a conoscenza, quando si accorse di essere rimasta priva di un posto tutto suo in cui vivere, l'estranea di casa non si lasciò abbattere. Reclamò i propri Diritti ed ottenne l'usufrutto di una stanza nella casa paterna.
Laborò suonando l'armonium in Chiesa per matrimoni e funerali, ed insegnando ai ragazzi del paese il canto ed il catechismo gratuitamente. Per tutti fu sempre la zia Lucia cui rivolgersi per ogni minima necessità.
Come si può bene immaginare, per quell'infelice, una vita così avrebbe dovuta essere assolutamente priva di prospettive, eppure ad un certo punto della sua esistenza, anche per Maria Lucia la vita ebbe un mutamento radicale. Consigliata da me, grazie ad una legge dello stato che favoriva l'assunzione dei disabili visivi, quella Donna sempre aperta al nuovo, trovò impiego presso un ufficio pubblico dove diligentemente lavorò e fu stimata. Ma anche lì presto dovette accorgersi con dispetto che la bellezza non le rendeva Giustizia, ma le era d'impaccio. Poiché gli Uomini non restavano indifferenti al suo fascino, lei non poteva abbassare la guardia; doveva continuare a difendersene, così come aveva sempre fatto per tenere a bada il branco di casa sua. Ad aiutarla nella non facile impresa di salvaguardare la sua dignità continuamente offesa, c'era la patina di durezza che negli anni si era costruita intorno, eppure, chi potrebbe giurare che qualche volta la coraggiosa Maria Lucia non avesse avuto voglia di estrinsecare il tanto amore che provava per gli altri?
Non le piacevano i fiori, ma amava regalarne ed a me ne ha donati tanti. Generosa come sa esserlo solo lo zio paperone dei fumetti, in casa di un fratello che l'aveva sempre odiata, Maria Lucia visse come poté i giorni solitari della Pensione. “A diventare vecchi, ci si prepara”, mi diceva sempre con un'alzatina di spalle, ma sarà poi vero che lei ci si sia preparata tanto da non soffrirne?
A quasi ottantacinque anni, la solitudine le pesava ancora molto, tuttavia non aveva perso la voglia di imparare nuove cose. Solo nel duemila quattro volle acquistare una macchina per Leggere.
Il suo spirito intraprendente e la curiosità intellettuale non l'abbandonarono mai, tanto che da qualche tempo si era impadronita dell'uso del personal Computer in cui aveva preteso che le installassi il Dizionario Italiano. Lo consultava assiduamente per meglio Scrivere, qualora le fosse ignoto il significato dei termini che incontrava durante le sue molteplici letture che spaziavano dalle scienze all'attualità, dalla Tecnologia alle varie branche dello scibile Umano, e cosìgradendo.
L'ultimo periodo le è stato più fausto di tutti i precedenti. Da quando si è ammalata, le nipoti che amò più che se fossero state sue figlie, non l'hanno mai lasciata sola un attimo, dimostrandole, nel momento di maggiore debolezza di non essere sola, lei che lo era stata così tanto, per tutta la vita.
La sera del quindici febbraio se ne andò senza nemmeno accorgersene, ed io quel giorno non le avevo neppure telefonato.
Non mi mancherebbe meno, se lo avessi fatto, ma sento quell'essermi distratta come una mancanza colpevole.
Mena Mascia
(Racconto apparso su Biblos Teller 1)